Di questa lontana lettura di gioventù non ricordavo quasi nulla, salvo che mi era sembrato il romanzo decisamente meno riuscito della celebre quadrilogia dostoevskijana. Devo dire che la rilettura conferma questo giudizio.
L’inconfondibile impronta dell’autore c’è in pieno nel raccontare una storia maledetta della quale sono protagonisti alcuni esponenti del nichilismo rivoluzionario russo della seconda metà dell’ottocento, così come puntualmente presenti sono alcune figure tipiche del Nostro: l’imprevedibile, furibondo, amorale Nikolaj Vsevolodovič, il freddo, untuoso e spietato Pëtr Stepanovič, il lezioso, inetto e melodrammatico Stepan Trofimovič, la imperiosa ma giusta matrona Varvara Petrovna, la bella e passionale Liza Nokolaevna, capace di improvvise follie, l’ex ufficiale e ubriacone Lebiadkin, il maneggione Liputin, la povera, dolce e sacrificale Mar’ja Timofeevna dal destino segnato.
Tuttavia questi personaggi, attori di una storia sordida e sanguinosa, mi sono sembrati decisamente meno incisivi e riusciti di quelli, dai caratteri spesso assai simili, che popolano gli altri grandi romanzi di D.
Il “vero” D., impegnato nel mettere all’indice e ridicolizzare un movimento aborrito, rappresentato come una congrega di atei pasticcioni e sanguinari “posseduti dal demonio”, si manifesta solo a sprazzi e tutto sommato raramente; e non è forse un caso che per apprendere veramente chi sia Nikolaj Vsevolodovič, il principale protagonista del romanzo assieme a Pëtr Stepanovič, occorre aspettare l’Appendice, sede dello splendido colloquio-confessione fra lui e Padre Tichon, campione di umanità e pietà: la sola parte nella quale D. manifesta appieno la sua potenza e profondità.
Rimarchevole è comunque la parte in cui Sigalev, uno degli ideologi del movimento, espone agli accoliti il suo programma: “Ogni membro della società vigila sull’altro ed è obbligato alla delazione. Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c’è la calunnia e l’omicidio, ma essenziale è l’uguaglianza“. E ancora: “Non occorre l’istruzione, basta con la scienza! Anche senza la scienza c’è materiale per mille anni, ma bisogna adattarsi all’obbedienza. Al mondo manca una cosa sola, l’obbedienza. La sete di istruzione e già una sete aristocratica. Non appena c’è la famiglia con l’amore, ecco subito anche il desiderio della proprietà. Noi sradicheremo il desiderio, diffonderemo l’ubriachezza, i pettegolezzi, le denunce: scateneremo una corruzione inaudita, spegneremo ogni genio ancora in fasce“.
Un brano addirittura profetico.
Le tre teste e mezzo sono in parte dovute al sacrosanto timore reverenziale verso quello che per me resta uno dei più grandi geni della letteratura di tutti i tempi.
Poronga