Si può dire di un libro indubbiamente importante “non mi è piaciuto”?. Credo di si, e comunque a me questo è successo.
Grass narra la storia bislacca di Oskar, volontariamente nano, dotato di una voce soprannaturale che spacca i vetri, al punto di poter essere utilizzata per svaligiare le gioiellerie, modello per l’Accademia delle belle arti, ma soprattutto suonatore di tamburo, col quale più che evocare, letteralmente racconta avvenimenti e atmosfere.
Bislacca del resto è la storia di tutta la famiglia di Oskar, a partire da quella di suo padre, nato da un amplesso fra un viandante braccato e una donna che gli aveva dato rifugio nascondendolo sotto le sue numerose e ampie gonne.
Grass usa molto il pedale del grottesco, del surreale, dell’assurdo che si fa realtà, e quindi l’atmosfera del romanzo è sempre abbastanza straniata, fuori dalle righe e torrenziale.
Oskar racconta da degente in manicomio la vita sua e dei suoi nonni e genitori, anche se nel romanzo vi è un curioso e singolare rimbalzare fra un io narrante e un racconto in terza persona.
La vita di Oskar è contemporanea alla nascita e all’imporsi del nazismo e quindi della guerra, dipinti con tratti allucinati e surreali, anche se il tema non è che sia particolarmente insistito.
Boh, non so che dire: il romanzo è lunghissimo, non mi ha entusiasmato per nulla, anche se l’ho finito non certo per dovere ma perché in qualche modo mi è parso ne valesse la pena. Però, come tutte le cose fondamentalmente affabulatorie -gusto personale, quindi- alla fin fine non posso dire che mi sia piaciuto.
Scoraggiato da questa lettura, di Grass non ho letto null’altro, e quindi non posso proununciarmi se il Nobel che gli è stato assegnato fosse meritato o meno.
Certo che, parlando di premi Nobel, Heinrich Böll era tutta un’altra cosa…
Poronga
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