PREMESSA
Questa è una recensione un po’ diversa dalle altre. Ed è diversa almeno per due ragioni: la prima è che si parla di una raccolta di brevi racconti non ancora pubblicata; e la seconda è che Federico P, l’autore, è una persona a cui voglio bene.
Se poi queste righe dovessero far venire voglia a qualche asinista di leggere i racconti di Federico P, non ha che da dirlo: glieli manderò volentieri.
«A ognuno è dato inventarsi la forma della propria infelicità e i rimedi per combatterla»
‘Lo specchio di Lux e il naso’
Se a Federico P si chiedesse di definire la follia è dalla necessità di ogni uomo di trovare un modo di far fronte al dolore che, credo, egli proverebbe a partire per rispondere, ammesso e non concesso che a dare una risposta fosse proprio costretto, visto che la sua reazione più naturale sarebbe, io temo, di schivare la domanda, scrollando le spalle imbarazzato, oppure allontanandosi di fretta adducendo a giustificazione un impegno rammentato all’improvviso, per non addentrarsi in questioni di cui, ho il sospetto, è convinto che non sia dato parlare con facilità.
Nelle storie che compongono questa raccolta egli dà voce in verità a un punto di vista non comune sulla follia. In poche pagine, nei suoi racconti, prendono vita figure che l’esistenza ha messo a confronto con una sofferenza ineludibile e che per tentare di sopportarla hanno finito per escogitare modi più insoliti o forse soltanto meno riusciti di quelli di altri. Non è solo la sua professione di psichiatra e psicanalista, ma anche una disposizione d’animo a prendersi cura di chiunque incroci per qualche motivo la sua strada, ad aver fatto sì che Federico venisse a contatto con la fatica di cui tanto spesso è gravata l’esistenza umana.
E in questa raccolta sembra voler rendere omaggio alle tante figure tragiche che nei lunghi anni del mestiere e della vita ha incontrato. Anche quando ne racconta le storie con una venatura di distacco, sotto quel velo sottile si sente respirare un’appassionata e vibrante compartecipazione umana. Perché, sembra voler dire, la sofferenza è di tutti. È la stessa per tutti. Benché a volte, l’esistenza offre a qualcuno un destino meno benevolo di quanto non sia accordato ad altri.
Talvolta, soprattutto quando le storie di cui parla lo riguardano più da vicino, un’irrefrenabile indignazione prende il posto del distacco, oppure sgorga involontaria dalle righe un’incolmabile malinconia.
A questa esperienza vissuta fanno eco storie che parlano di personaggi incontrati nei libri oppure attraverso la musica o attraverso i quadri splendidi che ci hanno lasciato, e il lettore si ritrova a passeggiare accanto a Hans Holbein il giovane oppure a entrare nella casa dell’umile calzolaio che per lunghi anni ha ospitato mastro Hölderlin e a seguirne i moti dell’animo, le aperture del cuore, gli inciampi del pensiero. Arte e follia sono unite, sembra volerci dire Federico P, da un insondabile corto circuito, e i colori, le note, le parole sono per tanti artisti l’unico modo possibile per dare voce a un mondo interiore prigioniero di uno scacco insuperabile.
Se da un lato è proprio questo scacco il vero protagonista di questa raccolta, dall’altro, la sensazione è che la compassione di cui gli uomini sono a volte capaci, in qualche modo da questo scacco ci salva.
È una scrittura ‘sghemba’, non facile, quella di Federico P, ricca di echi, di rimandi letterari, di scarti, e le storie sono tutte un proliferare di incisi, di divagazioni, di apparenti deviazioni dal nucleo centrale del racconto, ma in qualche modo questo stile denso, geologicamente stratificato, è specchio, da un lato, di quello che le storie vanno raccontando e dall’altro, della premurosa cautela, del rispetto venato di commozione, con cui Federico P volge lo sguardo alle figure che popolano il suo mondo.
la signora nilsson