


E’ il romanzo che ha sbancato in America nel 2016, vincendo i due principali premi letterari: il Pulitzer e il National Book Award, cosa che non accadeva da molto tempo.
Ciò che più mi ha colpito di questo libro è il richiamo a un fatto che, a livello di coscienza collettiva, sembra quasi dimenticato: quella che viene oggi considerata una delle più grandi democrazie e civiltà del mondo è nata in gran parte basandosi su due fattori: il quasi genocidio degli indiani e lo schiavismo dei neri, che i padroni indicavano col termine “la proprietà”.
“Se il destino dei negri fosse stato di essere liberi, non sarebbero in catene. Se il destino dei pellerossa fosse stato di conservare le loro terre, le possiederebbero ancora. Se i bianchi non fossero stati destinati a conquistare questo nuovo mondo, ora non ne sarebbero i padroni. Ecco qual era il vero Grande Spirito…”.
“Ai coloni serviva la terra, e se gli indiani non avevano ancora capito che i trattati con gli uomini bianchi erano pezzi di carta senza valore… allora si meritavano la sorte che gli era toccata”.
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