Conoscevo e apprezzavo Dario Crapanzano ai tempi in cui era un affermato pubblicitario, titolare di una buona agenzia, poi ceduta a una delle tante multinazionali del settore.
Il Crapanzano scrittore di gialli non lo conoscevo, e credo che non lo avrei mai conosciuto (diffido sempre di queste tardive “conversioni” all’arte dello scrivere, pur riconoscendo che ci possono essere eccezioni, Jean Michel Guenassia su tutti..) se non fosse stato per un mio caro amico di cui ho grande stima che me lo ha regalato dicendomi …”vedrai..”.
Bene, ho letto il romanzetto e credo di aver capito il senso di quello che diceva il mio amico: la trama è elementare, quasi infantile, i personaggi poco più che delle macchiette dal comportamento e dalle battute scontate, la soluzione del “caso” di una banalità imbarazzante.
Però… la vicenda è una scusa per Crapanzano per parlare con competenza e passione della Milano dell’immediato dopoguerra, con i suoi luoghi, i suoi personaggi, le abitudini dei suoi abitanti. E così ho rivisto e ricordato con nostalgia il Giamaica, con i suoi aperitivi e le partite a carte, lo sferisterio della pelota di via Palermo, le portinaie delle case popolari, la Lambretta, l’Aurelia, i tram che andavano verso nord, la villeggiatura in Brianza e tanti piccoli e grandi particolari dei luoghi della mia adolescenza.
Non che questo mi abbia fatto cambiare idea sul Crapanzano scrittore, ma insomma è stata una breve e piacevole diversione da letture più impegnative.
Silver 3