Toni Morrison “Amatissima”

morQuesto libro a tratti mi è sembrato bellissimo, a tratti noioso, qualche volta proprio una pizza. Eppure è indicato come il capolavoro di questo premio Nobel (a me però “L’occhio più azzurro” è forse piaciuto un po’ di più).

È senz’altro un libro complesso, pensato, pesante; io però l’ho trovato tale in tutti i sensi.

La storia, ambientata nella seconda metà dell’ottocento, narra attraverso le vicende di Sethe, la protagonista, l’inaudita condizione di schiavitù della gente nera, così disumana e disumanizzante da consigliare e indurre a non amare troppo (se possibile -ma non lo è- a non amare affatto) i propri figli, mogli, mariti, genitori, così da subire il meno possibile i colpi di un fatale destino di separazioni, morti, sparizioni improvvise.

Ma Sethe, donna fiera e incrollabile, questo consiglio non lo segue, e per sottrarre la sua figlia più piccola, di nome Amata, al bestiale capriccio dei bianchi a un certo punto giunge a un atto estremo.

L’intento, pur nella sua follia apparente, riesce, e a un certo punto Amata ritorna: creatura enigmatica che sconvolge la vita di Sethe, dell’altra figlia Denver, nata successivamente durante la disperata fuga di Sethe e della sua famiglia dalla schiavitù, e del suo nuovo uomo, Paul D. In questo complesso e arduo intreccio di relazioni Sethe si abbandona ad Amata e ridiviene essa bambina.

Il libro è pieno di simbolismi, il linguaggio fortemente evocativo e, come tale, sempre alla ricerca, talora (o spesso) trovandoli, dei toni giusti per raccontare una vera odissea. La narrazione è frammentata: tanti pezzi narrati non in ordine e che tocca al lettore tenere a mente e ricomporre in ‘unità.

Insomma, la lettura non è certo agevole, che talora è stata per me pura fatica.

Poronga

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