Joseph Conrad “Il caso”

radAlcuni decenni fa, quando leggevo avidamente i libri di Conrad,  avevo sulla libreria anche “Destino”, ma, non ricordo per quale ragione, non lo avevo mai preso in mano, e il volume, dopo alcuni traslochi, era rimasto su uno scaffale insieme alle altre opere di questo Autore, che consideravo e tuttora considero un Grande. E così,  alcuni mesi or sono, al vedere in libreria questo “nuovo” romanzo di Conrad, l’ho subito acquistato senza realizzare che si trattava di “Destino” in un’altra traduzione, che comportava anche un nuovo titolo. In effetti “Il caso” è forse più aderente al titolo originale “Chance”, ma devo dire che tutto questo, nonostante una nota dell’Autore spieghi che il libro è scritto anche in omaggio  alla forza del caso “una forza possente, quella del puro caso; assolutamente irresistibile, per quanto si manifesti spesso in forme delicate…”,   non ha avuto su di me un grande effetto, lasciandomi piuttosto freddo. Non vi è nella vicenda narrata una incidenza del caso diversa o superiore a quella delle vite di qualsiasi essere umano, o almeno a me così pare.

Detto questo sul titolo, a me il libro è piaciuto moltissimo: è abitato da  personaggi complessi e misteriosi,  dall’eroina Flora de Barral, a suo padre, il grande Smith de Barral, finanziere di successo poi finito in carcere per vicende truffaldine, al co-narratore, il giovane ufficiale Powell, al devoto ma forse non del tutto consapevole capitano Anthony, detto il figlio del poeta.

Il romanzo è diviso in due parti: la Donzella (Flora) e Il Cavaliere (Anthony), molto diverse tra loro: la prima, più lenta e descrittiva, si svolge sulla terraferma (l’unico riferimento al mare è il narratore, Marlow, lo stesso dei racconti più celebri, capace di sorniona ironia e di condurre un impareggiabile gioco a rimpiattino con il lettore). La seconda parte si svolge in navigazione, e qui la maestria marinaresca di Conrad tocca vertici assoluti, come in questo breve paragrafo: (dopo una sfiorata collisione notturna)  “(il capitano Anthony) diede il razzo acceso a Powell e si portò a poppa per vedere passare quella minaccia di distruzione, che portata dalle ali di un vento sferzante era sbucata alla cieca dalla notte profonda con il suo sguardo fisso multicolore ( i fanali di via, rosso e verde , che stanno a prua della nave e che se non cambiano direzione indicano una rotta di collisione). Ora era possibile distinguerne la forma nera e allungata tra gli schizzi di spuma sibilanti che esplodevano lungo la sua traiettoria.”

 La nave è uno spazio comunque piccolo, e tutti i personaggi vi si muovono guidati da Conrad, che ne dirige, centellinandoli sapientemente, i movimenti, le parole, gli sguardi:

“ E per quanto le trattasse (le considerazioni dell’ufficiale Franklin sul comandante) con un disdegno che era in una certa misura sincero, con me dovette ammettere che dentro di lui si andò formando e cominciò a crescere, contro la sua volontà, l’inspiegabile e inquietante sospetto che in quel salone, così insolitamente isolato dal resto del mondo, non tutto andasse come sarebbe dovuto”

Fino all’ultimo drammatico showdown finale, quando tutto diventa chiaro e i personaggi rivelano finalmente la loro vera essenza e ciascuno si toglie la maschera, salvo Powell che verosimilmente è l’unico a non portarla mai. Altro che caso! Qui ognuno è quello che è dentro fin dall’inizio. E questa forse, oltre al piacere della lettura,  è la lezione de “Il caso”.

Silver 3

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