El gringo viejo, che l’inizio di questo romanzo rappresenta dentro una cassa da morto mentre lo stanno seppellendo, è un americano di 70 anni di cui nulla del suo passato viene raccontato, e che decide di andare a morire -evidentemente riuscendoci- in Messico unendosi alla rivoluzione scoppiata nel 1910 e capeggiata da Pancho Villa ed Emiliano Zapata.
Alto, candido di capelli, occhi azzurrissimi e abilissimo pistolero, viene arruolato dal colonnello Arrojo, uno dei capi della rivolta.
Qui incontra Harriet Winsolw, una bella donna trentenne venuta in Messico per fare l’istitutrice ai rampolli di una famiglia spazzata via dalla rivoluzione, e che intende mantenere il suo impegno con i figli dei campesinos.
Giunto quasi alla metà del romanzo, lentissimo e in cui, almeno fino a dove sono arrivato io, non succede quasi nulla, mi sono fermato, perché il modo ispirato e ipnotico di scrivere di Fuentes, che in me ha fondamentalmente indotto sonnolenza, proprio non mi è piaciuto.
In effetti noto che nella letteratura sudamericana, ma anche in quella spagnola, vi è quasi sempre una sovrabbondanza che penso sia molto difficile da dominare. Per cui o ti chiami Borges o Màrquez o il rischio di scrivere cose pesanti e poco leggibili è dietro la porta. Opinione personale, si intende, come sempre.
Peccato per la copertina, bellissima.
Poronga