Ho diversi motivi per amare Lars Gustafsson. Anzitutto il suo Il pomeriggio di un piastrellista – e subito dopo Morte di un apicultore – è stato ormai 25 anni fa il primo libro che ho letto di quella straordinaria casa editrice che è l’Iperborea, che ha fatto conoscere a me e a tanti altri lettori molti grandissimi scrittori scandinavi. Poi io sono sempre attratto dai romanzieri che non sono solo romanzieri, e Gustafsson ha studiato e insegnato per molti anni filosofia, e questa formazione filosofica si vede benissimo nei suoi romanzi, tanto che lui stesso si definì ‘ un filosofo che si distrae col giocattolo della letteratura ‘. Ultimo motivo, tutti i suoi libri mi sono piaciuti. Compreso quest’ultimo, che purtroppo resterà l’ultimo perché Gustafsson è morto lo scorso anno, pochi mesi dopo averlo terminato.
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Jo Nesbo “Sete” Lars Gustafsson “La ricetta del dottor Wasser”
ovvero DEL SAPER SCRIVERE (e anche no)
Mi capita spesso di leggere un libro di cui scopro, dopo un certo numero di pagine, che il soggetto non mi interessa molto, che è piuttosto debole, ma che tuttavia non riesco ad abbandonare, come pure ho l’abitudine di fare quando un libro sfortunatamente non mi piace. Mi sono chiesto perché, e credo che la risposta stia nella capacità di scrivere bene, che a volte fa premio sulla povertà della storia narrata o degli argomenti trattati: il piacere di leggere per leggere, riconoscendosi nelle costruzioni precise ed eleganti dell’Autore. E’ il caso per esempio dell’ultimo romanzo di Jo Nesbo, “Sete” , oltre 600 pagine di una storia che non so se definire “giallo”, “thriller”, o anche “horror” vista la quantità di sangue che scorre ad opera di esseri umani imitatori dei vampiri. Una vicenda tutto sommato non meritevole, ma tuttavia scritta e portata avanti con maestria, nel descrivere situazioni, personaggi, e nel creare attese e colpi di scena. Un libro per l’estate, ma molto ben costruito.