Di Gabriele Romagnoli avevo letto, molti anni fa, Navi in bottiglia, apprezzandolo per la capacità di concentrare idee e temi importanti in racconti brevissimi, di una sola pagina. Adesso esce questo libro, che più che un romanzo è un saggio autobiografico e una riflessione sui valori della vita. L’occasione viene fornita a Romagnoli da un viaggio nella Corea del Sud, il paese col più alto tasso di suicidio al mondo. Tanto che un Coreano ha avuto l’idea di costituire una società che organizza finti funerali, per dissuadere i potenziali suicidi e fargli apprezzare il valore delle vita. Non so se è vero, immagino di sì perché Romagnoli è anche e forse soprattutto un giornalista, ma comunque è un’idea notevole e paradossale. Romagnoli ha provato, e infatti il libro inizia in questo modo folgorante: “ Sono stato al mio funerale e ho imparato qualcosa sulla vita. Poche cose, ma quando sono tornato al mondo, facendone tesoro, ho campato meglio. ” Il rituale è gelido: ti fanno indossare una veste senza tasche – non serve portare nulla nell’altro mondo – poi ti danno carta e matita e ti invitano a scrivere dei messaggi d’addio alle persone che davvero contano per te, per costringerti a pensare quante poche siano realmente. E infine entri in una bara di legno grezzo, senza imbottitura, tipo becchino dei film western. E inchiodano il coperchio. A quel punto a Romagnoli viene in mente un errore fatale: non ha chiesto quanto tempo lo lasceranno nella bara! Ma ovviamente in quella situazione i minuti sembrano ore, e quando ti tirano fuori ti sembra davvero di avere una nuova vita a disposizione e di non volerla sprecare.
La metafora del bagaglio a mano – rinuncia al superfluo, l’essenziale è veramente poco e a portata di mano – è trasparente ma non è ideologica o moralista, del tipo banali filosofie orientaleggianti,ma colpisce nel segno. Romagnoli non si atteggia a santone populista del ritorno alla natura e del rifiuto del mondo moderno della tecnica, tanto meno da teorico pauperista o new age. Ragiona da uomo del nostro tempo, che apprezza i risultati delle civiltà moderne ma ne vede anche i limiti e le tendenze suicide. In modo non ideologico e fanatico ma laico e razionale. Non so se sarebbe d’accordo, ma se devo trovargli un padre nobile lo cercherei in Diogene e nei Cinici dell’antica Grecia.
Per esempio mi è piaciuto questo elogio del libro di carta come metafora del mondo, che non vuole essere una resistenza aprioristica alle novità, ma un chiarimento sui diversi ambiti di applicazione:
” Metti di voler ri-leggere una frase contenuta in un libro. Se lo hai su e-book ti basterà attivare la funzione cerca, dando una parola chiave, e voilà: eccoti a dama. Se invece hai il libro su carta, senza sottolineature o ‘orecchie’ alle pagine, dovrai sfogliarlo e facendolo ri-leggerai altre frasi, ti re-innamorerai di parti che non avevi notato, alla fine ri-tornerai dove volevi arrivare, ma avrai fatto un percorso. Il mondo è quel libro: opportunità, trabocchetti e traguardi. ! ”
Tiresia