Erich Maria Remarque “La notte di Lisbona”

notteNon avevo letto nulla di Remarque, ed ero incuriosito dalla sua notorietà per un solo romanzo, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Questa Notte di Lisbona , uscita nel 1962, più di trent’anni dopo la sua opera più nota, utilizza un sistema ingegnoso per poter raccontare le vicende di un profugo, anzi di due profughi in fuga dalla Germania nazista nel 1942. L’io narrante del romanzo, infatti, non ne è il protagonista-raccontatore principale, che è invece un uomo che gli si avvicina, appunto a Lisbona, e gli offre un biglietto per la salvezza (una nave in partenza per l’America), in cambio della disponibilità a fargli compagnia per tutta la notte e ad ascoltare le terribili e sfortunate vicende della sua vita. La notte di Lisbona è appunto la notte in cui i due si parlano in attesa dell’alba in cui solo uno dei due potrà partire verso un futuro migliore: la conversazione fra i due personaggi si svolge vivace – anche se per forza di cose triste-, le vicende si intrecciano, spesso non si capisce più chi sta parlando e chi sta ascoltando, comunque l’interesse rimane abbastanza presente per tutto il romanzo, anche se le emozioni sono piuttosto assenti e lo stile narrativo è veramente scarno ed essenziale. Nel complesso Remarque non mi ha dato l’impressione di essere un grande scrittore, il che mi ha fatto pensare che la sua fama sia principalmente dovuta alla messa al bando delle sue opere da parte del regime nazista all’inizio degli Anni Trenta.

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Erich Maria Remarque ” La via del ritorno “

remaAlcuni scrittori sono indissolubilmente legati ad un unico libro. E’ il caso del tedesco Remarque, il cui nome fa subito venire in mente Niente di nuovo sul fronte occidentale, indubbiamente il suo capolavoro, ma di certo non il solo bel romanzo che abbia scritto. Molto tempo fa avevo letto Tempo di vivere, tempo di morire, ambientato non nelle Prima ma nella Seconda guerra, e l’avevo trovato decisamente bello. Ma confesso che non sapevo che Niente di nuovo … fa parte di una trilogia sulla Prima Guerra Mondiale, di cui La via del ritorno è il secondo romanzo. Il terzo si intitola I tre camerati, e forse varrà la pena di leggere anche questo.

La via del ritorno ha tutte le caratteristiche del sequel di Niente di nuovo… ma non dovete pensare a certi polpettoni letterari o cinematografici, qui stiamo parlando di letteratura di alta qualità. Nel breve prologo siamo ancora nelle atmosfere del romanzo precedente, con i soldati in trincea, le bombe, i morti eccetera. La guerra per fortuna finisce e seguiamo le vicende di un gruppetto di sopravvissuti, tutti giovanissimi, tutti originari delle stesse zone, che tornano a casa, alcuni così giovani da tornare addirittura sui banchi di scuola a riprendere gli studi interrotti. Ma continuano ad essere tormentati dalle ombre dei camerati morti, dei nemici uccisi, delle atrocità vissute. E soprattutto, si sentono separati da un muro invisibile rispetto a chi la guerra non l’ha vissuta, si sentono a disagio con i ” civili ” e le loro ipocrisie, e riescono a capirsi solamente fra di loro, tanto l’esperienza li ha segnati e resi diversi. La presenza di questo muro invisibile ma invalicabile è davvero il centro del romanzo, e Remarque ci fa entrare con grande abilità nel mondo interiore dei suoi personaggi, con le loro differenze ma anche con il loro destino comune. Mi limito a due citazioni che mi sembrano rendere bene lo spirito del libro: ” Siamo adatti per la pace? Siamo, in genere, adatti a qualcos’altro che non sia la vita del soldato? ” ” Come se qualcosa ci sfuggisse. Troppe volte e a più di uno è sfuggito qualcosa: nientemeno che la vita. ”

Niente di nuovo sul fronte occidentale è uno dei libri antimilitaristi più belli e importanti che siano mai stati scritti. Non per nulla i nazisti, appena arrivati al potere, lo misero al bando, assieme a tutte le altre opere di Remarque. La via del ritorno è altrettanto impegnato sullo stesso tema, ma lo affronta da una prospettiva diversa, quella delle ferite psicologiche che la guerra lascia in chi la combatte, rendendo difficile o impossibile il ritorno alla vita civile e ai normali rapporti umani. Oggi il tema può sembrarci meno originale e dirompente, molti studi psicologici sono stati fatti sui reduci della Seconda Guerra, del Vietnam, dell’Afghanistan e altre, e molti romanzi e film hanno affrontato il tema da mille angolazioni. Ma non dobbiamo dimenticare che Remarque è stato un indiscusso capostipite.

Tiresia

Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”

remarqueChissà perché quando leggo Traddles mi si accendono le lucette. Dice: non mi piacciono i libri di guerra e a me viene in mente questo splendido romanzo.

“Niente di nuovo” racconta la guerra e ne rende appieno l’orrore con toni pacati e implacabili; toni non solo di profonda comprensione umana ma anche di lucidissima intelligenza, per esempio quando descrive la condizione esistenziale del soldato in guerra, la necessità di regredire a pensieri semplici, talora primitivi: badare solo a mantenersi in vita, non pensare e mettere la mente in letargo per non cedere, per non impazzire:

“Siamo come fioche fiammelle che una sottile parete a malapena difende dal turbine del dissolvimento della follia; … il sordo rombare della battaglia diventa un cerchio che ci rinchiude, e allora ci stringiamo in noi stessi, con gli occhi sbarrati guardiamo la notte. Ci consola soltanto il respiro dei compagni dormienti, e così aspettiamo il mattino”.

Il romanzo entra subito nel dramma con pagine semplici, incisive, grandissime. E poi via con le battaglie, la paura, il patire, ma anche lo svilupparsi e acuirsi dell’istinto feroce del guerriero. In mezzo le pause, i piccoli piaceri (un’oca arrostita, un paio di stivali) per poter resistere in attesa che ricominci.

“Fuoco tambureggiante, fuoco di interdizione, cortine di fuoco, bombarde, gas, tanks, mitragliatrici, bombe a mano: sono parole, ma abbracciano tutto l’orrore del mondo”.

E ancora il racconto di come la guerra ti cambia per sempre, e invecchia precocemente e senza speranza ragazzi di vent’anni:

“ E poi so bene: tutto ciò che affonda in noi, come un mucchio di pietrame, finché dura la guerra, si desterà un giorno a guerra finita, e allora comincerà la resa dei conti, per la vita e per la morte”.

“Non siamo più spensierati, ma atrocemente indifferenti. Sapremmo forse vivere, nella dolce terra, ma quale vita? Abbandonati come fanciulli, disillusi come vecchi, siamo rozzi, tristi, superficiali. Io penso che siamo perduti”.

Paolo Baumer e il mitico e quasi soprannaturale Katrinski (“Kat”) sono grandi e tragiche figure, e il romanzo che li racconta un capolavoro.

Poronga