E’ un libro strano, questa opera prima autobiografica di un architetto romano di 69 anni, scettico, disilluso e cinico rispetto alle cose del mondo in cui ha vissuto, e soprattutto avvolto da un pessimismo cosmico, assoluto, estremamente realista e documentato. E’ una lettura che a tratti fa veramente male… “La tensione della politica, dell’arte, della filosofia, perfino della religione, verso la riforma del mondo, è finita…. Il mondo non sarà riformato. Nessuno, anche volendo, ha il potere per farlo. Il mondo potrà essere solo distrutto dunque oppure, ma non vedo come e da chi, rivoluzionato. Il Capitale deve ancora finire il suo lavoro, non sappiamo quanto tempo gli occorrerà, ma quando avrà finito, del pianeta come lo conosciamo non resterà più niente”. Non c’è una sola parola di speranza, quindi, eppure nei lunghi capitoli di ricordi, appare a tratti la felicità e la gioia di aver vissuto… sembra implicare che forse è vero che vivere a lungo sia una condanna?
A parte tutto questo, vi è in Pecoraro una capacità di osservazione, una spasmodica attenzione ai dettagli, a volte perfino ridondante e un po’ irritante, ma che prende il lettore e lo mantiene attento oltre che incuriosito… e così il libro si fa finire, nonostante le oltre 500 pagine…. E poi c’è un capitolo, “Sofrano”, che racconta una fase della prima vita professionale di Ivo Brandani, (il protagonista, alter ego di Pecoraro), che per me è un piccolo capolavoro, con una tensione continua e un finale fulminante, che mi ha fatto pensare, mutatis mutandis e un po’ irriverentemente, al Francis Macomber dei “Quarantanove racconti” del più grande Hemingway… E scusate se è poco…
Silver 3