La sfingea prosa con cui Iris Murdoch racconta ne “La campana” le disavventure amorose dei suoi protagonisti mi ha in qualche modo ricordato la gelida e implacabile scrittura con la quale Agota Kristof narra le sue terribili storie.
La “Trilogia” è un romanzo diviso in tre parti collegate l’una all’altra, ma la cui continuità va via via facendosi sempre più incerta, e con essa la “storia” che viene narrata e la stessa identità/continuità dei personaggi. Peccato, io dico, perché la prima parte è fenomenale.
Narra di una madre disperata che, costretta dalla guerra (non si sa quale guerra, così come non si sa nulla oltre a quello che viene raccontato momento per momento, poiché non ci sono nomi, luoghi, date) lascia due figli gemelli di pochi anni a una nonna gretta, cattiva e crudele che fa sudare loro ogni boccone di pane.
I due gemelli riescono a sopravvivere alla disumana condizione nella quale vengono a trovarsi nell’unico modo possibile: divenire disumani essi stessi. Gli “allenamenti” cui i due si sottopongono a tal fine sono fra le parti più impressionanti del libro.
Ne risulta un quadro di totale piattezza e anaffettività, nel quale domina una straziante assenza di sentimenti e, accanto a ciò, la persistenza di un costante senso di morte, intesa in senso sia fisico che morale.
La trama, scabra e agghiacciante, è servita egregiamente da una prosa arida e telegrafica che davvero, come è stato felicemente detto, “ha l’andatura di una marionetta omicida”.
A questa prima parte seguono le altre due, ambientate in tempo di pace, che non divergono molto, quanto a disumanità e dolore, dal tempo di guerra. Non sono però a livello della prima, peraltro a me più che bastante per assegnare a questo libro l’etichetta del capolavoro.
Di AG ho letto un altro stordente libro: “Ieri”. Anche qui c’è da penare: il livido esilio in terra straniera ed estranea, l’alienazione, la prostituzione, l’incesto, l’omicidio.
Una storia terrificante che però lo stile duro, esangue, trasognato di AG riesce quasi a far passare in secondo piano.
Niente affetti, niente speranza, una grande scrittrice.
Poronga.