E’ stato sul comodino, nella pigna dei libri da leggere, per cinque lunghi anni; l’avevo anche iniziato ma presto abbandonato ( cosa che mi succede raramente ); non mi decidevo ad affrontarlo.
La spinta propulsiva è venuta dalla lettura di un altro testo ( “Stalingrado” dello storico inglese Antony Beevor, un documentatissimo libro di storia che si legge come un avvincente romanzo ) dove Grossman compare come inviato sul campo di battaglia del giornale dell’esercito “Stella Rossa” e dove “Vita e destino” viene citato più volte. E’ diventato ineludibile.
La storia della sua pubblicazione è molto complicata; non fu dato alle stampe nell’Urss di Nikita Krusciov perché venne considerato gravemente antisovietico ( Grossman cadde immediatamente in disgrazia per poi morire solo, povero e malato ) ma fortunosamente una copia ( non quella definitiva ) in microfilm riuscì ad arrivare in Svizzera. In Italia fu pubblicato la prima volta nei primi anni ’80 da Jaca Book e poi nella versione definitiva da Adelphi nel 2008.
Il romanzo si svolge in Unione Sovietica tra la tarda estate del 1942 ed il 2 Febbraio del 1943, giorno della resa dei tedeschi a Stalingrado. Avendo per sfondo quei mesi di grandiosi eventi storici che determineranno il rovesciamento delle sorti della Seconda Guerra Mondiale le vite ed i destini dei numerosissimi personaggi si incrociano in una complicata e fittissima rete di relazioni.
La prima parola che mi viene in mente per descriverlo è “monumento” ma non certo per la quantità delle sue pagine ( 826, scritte tra il 1950 ed il 1960 ). E’ per il suo peso specifico, per la sua coralità e densità. C’è un grande rigore storico: Grossman ha vissuto i mesi della battaglia di Stalingrado ( e non solo: da lì è arrivato fino a Berlino due anni dopo al seguito dell’Armata Rossa ) in primissima persona, rischiando la vita ed avendo notizie di prima mano. Ha pertanto parlato di qualcosa che ha conosciuto bene. La sua è una voce “dal di dentro” del mondo e dell’ideologia comunista, è la voce di un uomo buono e giusto che lentamente si accorge che le migliori intenzioni si sono trasformate in qualcosa di terribile ( “ho scritto quello che ho visto … forse è una verita un po’ cruda. Ma la verità non può mai essere controrivoluzionaria” ) ed è la voce di un intellettuale con una formazione culturale ed una visione a tutto campo dell’uomo e della società.
Su queste basi vola la sua poetica: parla con la stessa attenzione e sensibilità umana dei soldati russi nei bunker, delle loro famiglie, degli ebrei nei lager nazisti, delle vittime delle purghe staliniane negli anni ’30 e di quelli che ancora sopravvivono nei gulag, dei soldati e degli ufficiali tedeschi assediati nella sacca di Stalingrado ed ormai prossimi alla fine.
Leggendolo ed appassionandosi si ha come la sensazione di vedere e di sentire dall’alto tutta questa umanità dolente, trascinata nella follia a volte suo malgrado, a volte complice, a volte convinta e poi pentita, a volte delirante sino alla fine.
E poi ci mostra come il desiderio di libertà non possa essere soffocato nemmeno dai più feroci ed organizzati dei totalitarismi ( quello nazista e quello staliniano che, come descritto in un memorabile dialogo, si specchiano l’uno nell’altro ).
Lo considero uno di quei romanzi che ci cambia o che approfondisce notevolmente la nostra visione del mondo.
Kurtz