Credo che la grande fortuna di questo romanzo sia dovuta alla sinistra e inquietante rappresentazione del doppio e dell’opposto, simboleggiato dal colto, civile, socialmente adeguato Dott. Jekyll e dal bestiale, cattivo, ferino Mr. Hyde. Il tutto avvolto nelle atmosfere notturne e nebbiose di Londra, che fa da ideale scenario.
Detto questo il libro mi è sembrato decisamente inferiore a “L’Isola del tesoro”, che ho trovato complessivamente più riuscito, anche se i due romanzi sono così diversi che è quasi sorprendente che siano stati scritti dalla stessa persona.
Eppure qui ci sono dei bagliori letterari che l’ “Isola” non ha; per esempio quando, per descrivere una cupa atmosfera londinese S. scrive: “Un gran mantello color cioccolato si stendeva nel cielo, ma il vento spazzava continuamente via quel cumulo di vapori”.
Oppure quando nell’ultimo capitolo, ossia “La relazione di Jekyll sul caso” (complessivamente abbastanza micidiale) per descrivere i rapporti fra i due protagonisti S. scrive: ” Jekyll provava qualcosa di più dell’interesse di un padre; Hyde qualcosa di meno dell’indifferenza del figlio“.
O infine quando ancora Jekyll così descrive la sua condizione: “Nella stranezza della mia condizione i termini del dibattito erano vecchi e comuni come l’uomo; le stesse tentazioni e le stesse paure gettano il dado per il peccatore tentato e impaurito; mi accadde, come la maggior parte dei miei simili, di scegliere la parte migliore, e di non saperla mantenere“.
Poronga