Cominciamo dal titolo: nell’originale è Az, che in turco vuol dire ” poco ” ma richiama anche la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto e implicitamente tutto quello che sta in mezzo. Ovviamente in italiano era impossibile dare il senso, e da qui la scelta di tradurre ” A con Zeta “.
E dopo il titolo, la prima frase, agghiacciante: ” Aveva sei anni, e a sei anni sarebbe morta. “. Sono due storie parallele, che solo alla fine si ricongiungono. Protagonisti una bambina e un bambino, stessa età, undici anni, e anche stesso nome, cambia solo un accento. Lei assiste, e in qualche modo se ne sente responsabile, alla morte della bambina di sei anni; lui assiste alla morte della madre e, per non finire in orfanatrofio, fa sparire il cadavere tagliandolo a pezzi e sotterrandoli. Come si vede, tinte forti. Dei successivi cinque anni sappiamo ben poco, se non che lei viene data in sposa, undicenne, a un uomo adulto che la porta a Londra dove la maltratta e la tiene segregata in casa, lui sbarca il lunario pulendo le tombe del cimitero. A sedici anni comincia per entrambi la vera vita. Lei fugge dal marito, ma entra in un giro di pornofili drogati e sado-masochisti ( ah, questi Inglesi! ), diventa anche lei tossicodipendente, ma da lì comincia la sua risalita: grazie a una figura angelica ( ah, queste Inglesi! ) che le fa da madre, trova la passione per lo studio che la porterà alla laurea e a una cattedra universitaria nella sua nuova patria.
La risalita per lui è molto più travagliata: è vissuto per cinque anni da solo – il padre è in prigione – tenendo nascosta la morte della madre, ma a sedici anni è ormai troppo grande per fare il bambino del cimitero, trova un lavoro precario. E’ ancora analfabeta, ma il suo lavoro ha a che fare con i libri, allora impara a leggere quasi da solo, finché scopre che una delle tombe che lui curava era quella di un famoso poeta, assai osteggiato in vita. Da qui nasce una vera ossessione di riscattare il poeta morto, che lo porterà a rendersi colpevole di omicidio e a una pena di 24 anni di carcere.
A questo punto i due ex-bambini hanno 40 anni e… ma ho già raccontato fin troppo. Come è ovvio, scopriamo che alcuni tratti di queste due vite, apparentemente diversissime, erano intrecciati. Questo è l’aspetto del romanzo che a me è sembrato più debole, perché alcune coincidenze sono veramente piuttosto forzate. Però bisogna anche dire che non è che a un romanzo dobbiamo sempre chiedere il realismo, e probabilmente è tipico di una letteratura che sta a metà fra quella europea e quella orientale usare dei registri che a noi occidentali possono parere un po’ ingenui e forzati. Però, piaccia o non piaccia questo aspetto un po’ favolistico, devo dire che A con Z ha molti pregi: non solo i due personaggi principali, ma anche diverse figure di contorno sono molto ben costruite, la storia – o meglio le due storie – sono avvincenti e il libro ci offre uno sguardo su un Paese, la Turchia, che tutto sommato conosciamo poco. E’ lo sguardo di un giovane intellettuale che ci parla del suo Paese, delle sue usanze, della sua religione, con un linguaggio crudo e concreto che forse può piacere a chi magari ha conosciuto la Turchia attraverso i libri di Pamuk, trovandolo troppo verboso e cerebrale. Con Günday questo rischio non si corre.
Tiresia