Amos Oz “Una pace perfetta”

ozicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-asino2Oz ambienta anche questo romanzo in un Kibbutz israeliano, a metà degli anni ’60, alla vigilia della guerra dei sei giorni, e lo popola di una serie di personaggi forti e ben delineati: Yolek Lifshitz, il capo del Kibbutz, uno dei padri della Patria, irruento, inesauribile e ingombrante; la fumantina moglie Hana; il figlio Yonatan, inquieto, irrisolto e consumato dalla volontà di fuggire non importa dove, il che culmina in una solitaria, rischiosissima e quasi fiabesca incursione a Petra; la moglie di questo Rimona, bella, lenta, eterea, fanciullesca, enigmatica, protettiva (forse il personaggio più riuscito);  Azariah, giunto al kibbutz in una notte invernale di pioggia: cita di continuo Spinoza, suona la chitarra, dimostra un talento da meccanico quasi sovrannaturale, e si insedia a casa di Yonatan e Rimona, di cui subito si innamora, dando vita a un singolare ménage à trois; Shrulik, saggio e modesto, che succede a Yolek nella conduzione del Kibbuz, e che sembra quasi un alter ego di Oz (“Il principio che mi anima … è che c’è già abbastanza sofferenza nel mondo, guai a ad aggiungerne altra”). Continua a leggere

Pubblicità

Amos Oz “Altrove, forse”

ozicona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoNon sembra neanche un libro scritto da lui.

Il soggetto è interessante, poiché descrive la vita in un kibbutz, dove in effetti Oz  è stato per alcuni anni; una comunità improntata e principi del socialismo, dove il lavoro intellettuale si mescola a quello manuale, vi sono continui momenti collettivi, dal refettorio comune agli incontri, ricorrenze, assemblee, feste ecc., la proprietà privata è limitata, la vita è improntata a una sobria severità. Oz dice, con un certo divertimento, che si spettegola anche molto, e che questo è anzi il passatempo più praticato. Continua a leggere

Amos Oz “Tra amici”

ozicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoOz racconta la vita in un kibbutz, un tema a lui caro: un luogo disadorno, senza fronzoli, dove si studia e altrettanto si lavora senza far troppo caso all’odore quasi perenne di letame; dove si va a un funerale “in tenuta di lavoro perché il funerale era in orario di lavoro”, e dove “quasi tutti sono abbronzati, muscolosi e ben piantati“. Nel kibbutz le decisioni -anche quelle che riguardano il corso di studio dei giovani – vengono prese collettivamente e ci sono comitati che sovraintendono a tutto. “Tutto qui appartiene a tutti noi, tutti noi apparteniamo l’uno all’altra a vicenda, i figli devono esserlo di tutti“; tant’è che i bambini vivono in una “casa dei bimbi”: idea orrida.

Parità uomo donna? “Le donne sostenevano di godere di una parità assoluta qui da noi, ma la parità la ottenevano solo a condizione di comportarsi come gli uomini e di essere considerate uomini: guai a truccarsi o a mettersi il rossetto“. Continua a leggere

Amos Oz ” Tocca l’acqua, tocca il vento “

ozHo visto che sull’Asino si è parlato spesso di Oz, e sempre in termini positivi. A me è piaciuto in diversi suoi romanzi, meno in altri. L’ho sempre ritenuto un gradino sotto ad un altro scrittore israeliano che al contrario mi piace senza riserve, Yehoshua – che invece ha ricevuto giudizi meno benevoli sull’Asino -, ma ritengo sia comunque da leggere sempre. Non mi sono dunque fatto scappare questo romanzo, tradotto per la prima volta in Italia ma scritto molti anni fa, nel 1973.

Dirò subito che sono rimasto decisamente deluso, pur riconoscendo che, se letto 40 anni fa, forse il libro avrebbe avuto un maggior senso; ma adesso sembra davvero molto datato, sia per i contenuti che per la forma. Iniziando dai contenuti, è una storia non certo originale di una coppia di ebrei polacchi travolti e separati dalla guerra nel 1939. Lui, un orologiaio col pallino della matematica, fugge a lungo per l’Europa e riesce poi a riparare in Israele. Lei invece non percepisce il pericolo, resta nel suo paese e si trova poi ad avere a che fare coi sovietici dei quali diventa una collaboratrice. Nel personaggio di lei, anche per il suo ruolo di insegnante di filosofia e per i suoi rapporti con Heidegger, si intravede la figura di Hannah Arendt.

Continua a leggere

Amos Oz su libri, lettori e scrittori (da “Una storia di amore e di tenebra”)

oz.pngTutto è autobiografia: se un giorno scrivessi una storia d’amore fra madre Teresa e Abba Eban sarebbe di sicuro una storia autobiografica – benché non confessa. Ogni storia che ho scritto è un’autobiografia, nessuna è una confessione. Il cattivo lettore nutre una costante ansia di sapere subito e immediatamente ” cosa è successo in realtà “. Di sapere insomma qual è la storia dietro la storia, di che cosa si tratta, chi è contro chi, chi scopava con chi per davvero. ” Professor Nabokov ” domandò una volta una intervistatrice durante una diretta televisiva americana ” professor Nabokov, ci dica per favore, are you really so hooked on little girls?

Che cosa vogliono, in fondo, questi intervistatori impudenti da Nabokov e da me? Che cosa vuole il cattivo lettore, cioè quello pigro, sociologo, pettegolo-guardone?

A volte sono anche disposti a rinunciare alle idee e financo alle mucche sacre, si accontentano della ” storia che c’è dietro la storia “. Vogliono i pettegolezzi, insomma. Vogliono una soffiata. Che gli si dica che cosa ti è successo per davvero nella vita, non quello che, dopo, ne hai scritto nei tuoi libri. Vogliono scoprire finalmente, e senza eufemismi né ammennicoli, chi veramente ha fatto quel che ha fatto, e con chi, e come, e quanto.

Il cattivo lettore pretende da me che speli per lui il libro che ho scritto … Il cattivo lettore è una sorta di amante psicopatico che aggredisce e strappa i vestiti della donna capitatagli a tiro, e quando quella è completamente nuda continua, scorticandola …

Il cattivo lettor è insomma appagato del fatto che il grande Dostoevskij, proprio lui, fosse vagamente sospettato di una torbida propensione a rapinare e poi assassinare anziani, mentre William Faulkner era certamente incline all’incesto, e Nabokov aveva rapporti con minorenni, Kafka era tenuto d’occhio dalla polizia … mentre Yehoshua appiccava il fuoco ai boschi del Fondo Nazionale … per non parlare di quello che Sofocle fece a suo padre e alla sua povera mamma, perché altrimenti come avrebbe potuto descrivere tutto con tale vividezza, proprio dal vivo, anzi più che dal vivo?

Chi cerca il cuore della storia nell’interazione fra la storia e il suo autore si sbaglia: conviene invece cercare nel campo non fra lo scritto e lo scrittore, bensì in quello che sta fra lo scritto e il lettore.

Allora, ogni opera letteraria ci invita, in fondo, a infilare la testa dentro una figura o un’altra … Invece di tentare di mettere la testa del’autore, come fa il lettore banale, forse sarebbe meglio provare a incastonare in quell’apertura la nostra di lettori, e vedere l’effetto che fa. In altre parole: lo spazio che il buon lettore preferisce ricavarsi mentre legge non è quel terreno che sta fra lo scritto e il suo autore, bensì tra lo scritto e noi stessi: ” Quando Dostoevskij era ancora studente, avrà davvero ucciso e derubato vecchie vedove? ” Prova tu, invece, lettore, a metterti al posto di Raskolnikov , per sentire il terrore e la disperazione e la meschinità bruciante frammista a un’arroganza napoleonica, e la megalomania e la febbre della fame e la solitudine e lo spasimo e la stanchezza assieme alla nostalgia della morte per tentare un paragone … non fra i personaggi della storia e gli scandali scovati nella vita dell’autore, bensì fra i personaggi della storia e l’io di te, quello segreto, quello pericoloso e disgraziato, folle e criminoso, la creatura spaventosa insomma che tieni imprigionata sempre nel profondo di te stesso, nella cella d’isolamento più buia, così che nessuno al mondo possa mai sospettarne l’esistenza – né i tuoi genitori, né i tuoi affetti, perché altrimenti scapperebbero via in preda al panico, come si fugge da un mostro. Ecco che quando leggi le storie di Dostoevskij, sempre che tu non sia il lettore pettegolo e invece quello buono, allora puoi trattenere quel Raskolnikov dentro nelle tue cantine, nei tuoi meandri più oscuri, dietro le grate e dentro la cella, così da incontrarsi con i tuoi scheletri più terrificanti e inconfessabili, paragonare quelli di Dostoevskij ai tuoi, che nella vita normale non potresti mai accostare a nulla, perché dove troveresti il coraggio di presentarti di fronte a chicchessia, nemmeno in un bisbiglio, nemmeno fra le lenzuola, all’orecchi di colui o colei che trascorre la notte con te e che lì per lì, avvolto nel lenzuolo, scapperebbe via il più lontano possibile da te, urlando con terrore.

E tu non domandare: che, sono proprio fatti veri? E’ così lo scrittore? Domanda a te stesso. Delle cose tue. Quanto alla risposta, puoi serbarla tutta per te.

a cura di Tiresia

Amos Oz ” Una storia di amore e di tenebra “

amIl piccolo Amos Oz non sognava di diventare un pompiere, un esploratore o tanto meno un rabbino. Voleva diventare un libro ( ” Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi … su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca, a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.” Non dimentichiamo che Oz è nato nel 1939,  la sua infanzia è stata segnata dall’Olocausto ).Il destino di Oz era in qualche modo scritto, il padre la madre erano entrambi intellettuali, come pure altri antenati, e il loro unico figlio è cresciuto in una casa con migliaia di libri a stretto contatto con altre persone di cultura che abitavano lo stesso quartiere di Gerusalemme. Spassosa la descrizione dell’unico abitante in grado di aggiustare un rubinetto o piantare un chiodo, perciò soprannominato Baruch mani d’oro, mentre ” tutti gli altri erano in grado di analizzare con fiera retorica quanto fosse importante che il popolo ebraico tornasse finalmente alla vita nei campi e al lavoro manuale: di intellettuali, dicevano, ne abbiamo fin sopra i capelli ” ).

In questo grande romanzo autobiografico Oz descrive la storia della sua famiglia per quattro generazioni e i suoi primi anni di vita, sino al grande dolore causato dal suicidio della madre avvenuto quando aveva tredici anni, al rapporto col padre, severo studioso con cui c’era affetto ma scarsa comunicazione; e poi la scelta appena quindicenne di vivere in un kibbutz, e gli studi e l’inizio della sua carriera di scrittore. In un romanzo di questa portata e di queste dimensioni vediamo in pieno le qualità di Oz, la sua perfetta padronanza delle tecniche letterarie, la capacità di intersecare tempi e piani narrativi diversi e di descrivere, inserendoli nel flusso della narrazione, sia i personaggi della sua famiglia sia i più disparati personaggi famosi legati alla storia d’Israele.Fra i tanti, voglio citare lo scrittore Agnon, che Oz conosce fin dalla prima infanzia in quanto vicino di casa e facente parte della cerchia degli amici dei genitori. ( Sull’Asino si è parlato di Yehoshua, Grossman e Oz, ma mai di Agnon, che è il capostipite dei moderni scrittori israeliani. Prima o poi bisognerà parlarne )

Insomma, senz’altro un bel libro che vale la pena di leggere anche se lungo e impegnativo. Io ho trovato molto bella la prima metà, poi diventa un po’ meno bella la parte sulla nascita di Israele e il sionismo, ma le ultime cento pagine prendono nuovamente quota. Un maestoso affresco familiare che ricorda altri due grandi scrittori ebraici, sia pur trasferiti oltre Atlantico, Singer e Potok. Per Poronga questo è il capolavoro di Oz; pur avendolo molto apprezzato, io rimango con Giuda, che è meno ambizioso ma più moderno e originale.

P.S. Questo libro contiene una perla che per me è di valore eccezionale. E’ il capitolo quinto, quattro pagine nelle quali Oz ci offre con sapienza ed ironia le sue idee sul rapporto fra scrittori, libri e lettori, ed in particolare un’analisi spietata di cosa caratterizzi il cattivo lettore. Ne ho tratto alcune citazioni, ma sono così numerose che ho pensato di farne una scheda a parte. Ma anche così ho dovuto rinunciare a riportare righe indimenticabili, quindi consiglio a tutti di andarsi a leggere quelle quattro pagine. Essendo all’inizio, probabilmente chi usa l’e-reader può farlo gratuitamente altrimenti vi assicuro che quelle sole pagine valgono il prezzo del libro, del resto di soli 14 euro.  Anzi, vorrei proporre a Poronga di renderle disponibili sull’Asino, magari in aggiunta a quelle bellissime di Calvino citate nella sezione Benvenuti.

Tiresia

Amos Oz “La scatola nera”

ozDi questo grande scrittore si è parlato troppo poco sull’ “Asino” (a proposito, vedo sul web un proliferare di “asinochinonlegge”. Lettore! Diffida delle imitazioni! Gli unici e veri asinisti siamo noi!).  Quindi tento di rimediare.

Ho trovato questo libro splendido. Oz sceglie la forma del romanzo epistolare, e si dimostra di una bravura stupefacente, riuscendo a cambiare non solo stile ma anche “testa” a seconda di chi scrive.

Le voci fondamentali sono cinque: Ilana, che dopo sette anni di silenzio bussa alla porta di Alex e impulsiva, focosa e travolgente irrompe di nuovo nella sua vita; Alex, meticoloso, gelido, “principe torturato” e perseguitato dalla sua superiorità morale e intellettuale (eroe della guerra dei sei giorni, è poi diventato un luminare acclamato nel mondo, specie con un lavoro storico-filosofico sulle dinamiche e le ragioni della aggressività bellica umana).

I due hanno un passato lacerante, si sono feriti a morte, l’uno con la sua impossibilità esistenziale, l’altra con i suoi tradimenti. Hanno avuto un figlio che lui non ha riconosciuto, e sono arrivati a un divorzio che Alex ha voluto definitivo e a prova di bomba.

Ma dopo anni arriva la lettera di Ilana, cui Alex risponde in modo gelido; ma risponde, e questo sarà l’inizio di una fatale riapertura di tutto.

Poi c’è il figlio Boaz, bellissimo, gigantesco, primitivo, che ha realizzato una specie di comune agricola. Ma sul punto non voglio raccontare troppo.

Poi c’è Michel Sommo, piccolo e indomito ebreo ultra-ortodosso, che ha salvato Ilana.

E infine c’è Manfred, avvocato e procuratore di Alex, uomo esperto e cinico, ma a suo modo giusto e di cuore, cui si deve una delle lettere più belle. Ma sono bellissime molte, soprattutto quelle di Ilana.

Leggetelo: soddisfatti o rimborsati.

Poronga

Amos Oz ” Giuda “

ozAmos Oz è ritenuto più o meno da tutti un grande scrittore, e io non posso non dirmi d’accordo. I suoi romanzi sono sempre molto ben costruiti e scritti con maestrìa. Eppure nessuno di essi mi ha mai veramente entusiasmato. E’ possibile riconoscere che un autore è un grande scrittore ma allo stesso tempo che non ha – almeno non ha ancora – scritto un vero e proprio capolavoro? Io credo di sì, ma credo anche che con Giuda Oz sia arrivato ai vertici della propria arte, se non altro per la presenza di alcuni personaggi memorabili.

La storia si svolge a Gerusalemme nell’inverno 1959-60. Il protagonista è uno studente 25enne sofferente di asma e crisi depressive, piantato dalla fidanzata, che decide di abbandonare gli studi – stava preparando una tesi su Gesù visto dagli Ebrei – anche per le difficoltà economiche della sua famiglia. I rapporti con la famiglia non sono mai stati facili, basti dire che il ricordo più bello che ha della sua infanzia è … quando fu morso da uno scorpione! Perché almeno fu oggetto di un po’ di attenzioni. E’ anche un tipo che decide di farsi una cultura leggendo in sequenza tutte le voci dell’enciclopedia, salvo poi abbandonare l’impresa a metà della lettera A. Indeciso su cosa fare della sua vita, vede un annuncio in cui si cerca una persona giovane e di cultura per fare compagnia alcune ore al giorno ad un anziano invalido in cambio di vitto e alloggio. Qui entra in scena un personaggio veramente formidabile, dalla sua descrizione fisica alla sua statura intellettuale e alla sua irrefrenabile parlantina. Vive praticamente in perenne solitudine, limitandosi a lunghe conversazioni telefoniche con chissà chi, con l’unica, sporadica compagnia della nuora, altra figura memorabile. L’elenco dei personaggi vivi del romanzo finisce con questi tre, ma ve ne sono altri due, morti, che incombono sulle vicende narrate: il marito di lei, e figlio dell’invalido, morto nella guerra del 1948 alla quale aveva voluto partecipare benché già menomato; e soprattutto il padre di lei, importante figura politica finito però isolato e ritenuto da tutti un traditore per la sua linea filo-araba. Un personaggio controverso che dopo l’emarginazione politica si era completamente isolato, rinchiudendosi in quella stessa casa con la sola compagnia della figlia e del consuocero, ” avvolto nella sua offesa come in un sudario “.

Il libro è anche un modo per parlare, in una prospettiva del 1960 ma con evidenti ripercussioni sulla situazione odierna, di un tema che a Oz sta molto a cuore, il problema Israele – mondo arabo. Le ricerche dello studente sul Gesù in prospettiva ebraica si intrecciano col ” tradimento ” del padre della tormentata protagonista femminile e con le interpretazioni della figura storica del traditore per antonomasia, Giuda. Verso la fine del libro c’è persino, completamente staccato dal resto, un capitolo sulla morte di Gesù vista da Giuda che mi ha ricordato, fatte le debite proporzioni, la leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij.

Il vecchio invalido a volte parla come un profeta, ma c’è sempre una venatura di ironia ebraica. L’ironia c’è praticamente in ogni dialogo, mentre per il tono profetico voglio riportare almeno due citazioni che mi sembrano significative:

Gli occhi, non si apriranno mai. Quasi tutti gli uomini attraversano lo spazio della vita, dalla nascita alla morte, a occhi chiusi… Perché se solo li aprissimo per un istante, ci sfuggirebbe da dentro un urlo interminabile e continueremmo a urlare senza smettere mai. “

” … mentre il dissidio che c’è fra noi e gli arabi musulmani non è altro che un piccolo episodio della storia, un episodio breve e passeggero, e di cui fra cinquanta, cento o massimo anche duecento anni non resterà memoria, quel che c’è fra noi e i cristiani è una cosa profonda e oscura che durerà ancora cento generazioni. ”

Ma in generale è tutto il libro – del resto, il titolo non è scelto a caso – che, pur essendo un libro laico e illuminista come il suo autore, ha dei  profondi accenti biblici. Provate a immaginare come vi sentireste se, subito dopo aver fatto l’amore – profano -, vi sentiste riportati all’amor sacro da queste agghiaccianti parole ” di te fra tutti mi ricorderò “.

La convivenza fra lo studente, la donna e il vecchio – e i due fantasmi incombenti – dura solo un inverno. Termina, simbolicamente, con l’arrivo della primavera, senza un reale motivo, proprio come era cominciata, semplicemente perché le cose devono andare così. La nuora e il suocero continueranno la loro vita da reclusi mentre lo studente parte per un destino ignoto ma in cui almeno si vede un percorso di crescita personale e un barlume di speranza. E comunque arricchito dalla conoscenza di due figure che, almeno a me, resteranno a lungo nella memoria.

Un’ultima nota: il libro è tradotto benissimo da Elena Loewenthal. Fa piacere segnalarlo, vista l’abbondanza di traduzioni sciatte e poco accurate.

Tiresia