Si legge come un romanzo, ma è la storia vera di uno di quei migranti che arrivano in Italia con una storia di immensa sofferenza alle spalle e si ritrovano costretti a inventarsi una vita in un luogo di cui non sanno nulla, dove non hanno più nulla, né la famiglia, né i figli, né, spesso, il proprio senso d’identità o la coscienza di ciò che li aspetta.
Brigitte è fuggita dal Congo ed è arrivata in Italia in un gelido giorno di gennaio senza nemmeno sapere dov’è finita, vestita per altri climi, senza un soldo in tasca e soprattutto sconvolta dalle torture subite per due lunghi mesi in cui la crudeltà degli uomini le ha rubato tutto. Tutto. La sua clinica medica, il fratello, ucciso davanti i suoi occhi, i figli che ha dovuto abbandonare da un momento all’altro e della cui sorte da mesi non sa più nulla, la salute del corpo e quella della mente.
È fortunata (come usare una parola così, per una donna che ha subito quello che che è successo a lei?): qualcuno che la vede aggirarsi allucinata per la Stazione Termini e le parla del Centro Astalli di Roma, dove troverà chi la aiuterà nella sua odissea per il riconoscimento di statuto di rifugiato politico e, pian piano, a trovare alloggio, cibo, assistenza medica. A ricominciare.
Un libro sincero e commovente, cristallino nella sua precisione e franchezza, ma anche empatico, emozionato. Un libro che per una volta racconta cosa succede dopo. Dopo la fuga, dopo il viaggio, dopo l’arrivo in Italia, quando la fatica e le difficoltà invece di trovare fine sembrano accanirsi con rinnovata virulenza e non dare respiro, né speranza.
Un libro in cui Melania Mazzucco non è solo autrice ma anche personaggio, perché è possibile guardare, e raccontare la nudità di Brigitte, solo mettendosi a nudo, accettando di esporsi a propria volta.
Una prova di grande sensibilità letteraria ma anche di coraggio, passione, profonda umanità.
la signora nilsson