Michela Murgia aveva scritto alcuni anni fa un romanzo che a me era piaciuto molto, Accabadora, lo consiglio caldamente. Adesso esce questo Chirù, che per certi versi ne riprende alcune tematiche, in particolare il rapporto fra un giovane allievo e una esperta maestra, ma sotto altri aspetti è molto diverso: lì la Sardegna degli anni ’50 e un’atmosfera che richiama il realismo magico, qui Sardegna, Roma e Svezia in un mondo contemporaneo globalizzato.
Eleonora è un’attrice di successo trentottenne che ogni tanto prende degli allievi ai quali insegna, più che il teatro, come stare al mondo. Ne ha avuti tre in passato, due sono state esperienze positive, una tragicamente negativa, tanto che si era ripromessa di finirla lì. Ma Chirù, diciottenne studente di musica, si presenta un giorno davanti a lei e Eleonora riconosce subito delle affinità irresistibili. Il rapporto andrà avanti per alcuni mesi con alti e bassi, ma in modo molto intenso. Non sarà soltanto, come è naturale, l’adolescente Chirù a crescere, ma anche l’adulta Eleonora rivedrà in modo critico molti aspetti della sua vita, a cominciare soprattutto dal suo rapporto con la famiglia, composta da un padre violento, una madre debole e un fratello pavido. Come è quasi inevitabile, il rapporto ha anche dei momenti di vero innamoramento reciproco, nonostante la differenza d’età ( si consuma? non ve lo dico, dovrete scoprirlo da voi ). Il tutto dura pochi mesi, ma ci sarà un epilogo a distanza di quattro anni che ci mostrerà cosa succede ai due protagonisti.
Ci ho messo un po’ a capirlo, perché la Murgia prende abilmente strade diverse, ma questo è soprattutto un libro sul potere. Potere che prende due forme diverse. La prima è la famiglia, di cui ci viene fornito un ritratto impietoso, e dalla quale solo a 38 anni Eleonora – in fondo è lei a trasformarsi di più, nonostante abbia già vissuto vent’anni più dell’allievo – riesce a emanciparsi completamente. Anche la famiglia di Chirù fa una sia pur breve apparizione, e anche in questo caso l’esito è nefasto. E poi c’è il potere che ha a che fare col rapporto maestro-allievo, ma se in Pigmalione – il richiamo è inevitabile – era tutto dalla parte del maestro, qui è molto più equilibrato, e i generi sono invertiti. A sottolinearne l’importanza, il libro non è suddiviso in capitoli, ma in ” lezioni “.
Se la storia vi sembra interessante, vi do un altro motivo per leggere Chirù: Michela Murgia scrive molto bene, con quella ricerca attenta delle parole che però non supera mai il limite del manierismo. Sentite l’incipit: ” Chirù venne a me come vengono i legni alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva.” E poi ha delle folgorazioni illuminanti. Pensiamo alla frase banale per antonomasia: ” non ci sono più le mezze stagioni “; lei la trasforma così: ” un’epoca in cui le mezze stagioni sapevano ancora il fatto loro “. La sua famiglia va a una festa ” fingendo che andarci contemporaneamente volesse dire andarci insieme “. E di fronte al trito luogo comune ” dev’essere triste tornare a casa e non trovarci mai nessuno ” Eleonora dapprima difende con orgoglio il suo stato di single ma poi, con perfidia, si prende la sua vendetta cedendo: ” ogni volta che ho concesso la falsa conferma della mia incompiutezza, li ho visti rassicurati di aver fatto bene a considerarsi per tutta la vita la metà di qualcun altro e tenere insieme sotto lo stesso tetto, dentro lo stesso letto, solitudine e patrimoni a qualunque costo. Per questo io non insistevo … nessuno può sapere quanto rumore fa una certezza che si rompe. “. E contro un altro luogo comune: ” Ho coltivato una speciale diffidenza per chi si compiace di dire sempre quello che pensa. Temo con ogni fibra quel tipo di persona che è pronta a scambiare per pensiero il moto casuale di tutto quello che gli passa per la testa e chiama sincerità l’incapacità di controllarlo “. E infine questa riflessione: ” per diventare innovatori a volte occorre far passare la fantasia attraverso un deserto di frustrazione “.
Mi scuso per queste lunghe citazioni, spero di non aver violato le leggi sul copyright, ma mi servivano per dimostrare che Michela Murgia è tutt’altro che una scrittrice banale.
Tiresia
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