Gregory D. Roberts “Shantaram”

shan.pngStavolta sono in disaccordo con Silver 3.

Questo libro infatti mi ha prima illuso e poi deluso, e parecchio.

R. non è certamente uno scrittore di particolare valore. Il pregio del libro avrebbe quindi potuto risiedere in una testimonianza, magari intelligente, magari toccante, profonda, o tutte queste cose insieme, su quella a quanto pare unica e specialissima terra che è l’India e, in particolare, Bombay.

È in effetti per le prime 2-300 pagine sembra così.

Il protagonista, un misterioso australiano trentenne evaso da un carcere del suo paese e in fuga, capita quasi per caso a Bombay e se ne innamora. Non solo: capisce e penetra quest’enorme città al punto di amarne, più di ogni altra cosa, gli slum, ossia i luoghi più sordidi e miseri, comprendendo e vivendo la solidarietà e l’umanità di coloro che ci vivono, cosa che rappresenta addirittura la conditio sine qua non perché lo slum possa esistere e durare.

Lin va quindi a vivere in uno slum e ne comprende i ritmi, le regole, la filosofia, e questo popolo, impegnato in una selvaggia lotta per la sopravvivenza nella quale non si guarda in faccia a nessuno ma, al contempo, capace di atti di solidarietà e civiltà sbalorditivi.

Questa profonda e rara quanto meritevole comprensione porta Lin a capire cose tipiche di questa gente, come il modo particolare di dondolare la testa e il significato di ciò (un misto di approvazione, incoraggiamento, complicità e soddisfazione).

Qui però finiscono i pregi del libro e iniziano i difetti, che sommergono i primi.

Man mano si capisce infatti che il vero scopo del romanzo non è “cantare” l’India e Bombay, ma celebrare Lin, il protagonista, sorta di angelo maledetto caduto in terra, che se ha una vita passata di droga, carcere e rapine (ma pure –ohibò- di filosofo/leader della contestazione studentesca), non perde però occasione per dimostrarsi buono, giusto e soprattutto forte e indistruttibile.

Le ferite che Lin riporta nel corso del romanzo sono tante che se ne perde il conto; almeno tre volte subisce per colpa dei cattivi trattamenti di una violenza indicibile, ma se la cava sempre tornando più forte di prima; si rificca nuovamente nella droga ma risorge come un dio: insomma, una insopportabile palla; che sarebbe, seppur a fatica, ancora digeribile se non fosse che Lin è un eroe buono, che però fa costantemente o quasi cose cattive: diventa membro della mafia locale, spaccia droga, fa il falsario, commette violenze anche se, lui, non ammazza mai nessuno: queste cose le fanno i suoi compari, prima di tutti un capo-clan da operetta (Kadher), padre/padrino, filosofo, etico, ma soprattutto pluriomicida e gran mascalzone.

Quello che ne risulta, alla fine, è un libro ipocrita e fasullo, infarcito di pistolotti ispirati e moralisteggianti (“L’unico regno che fa di un uomo un re è il regno della sua anima. L’unico potere che conta veramente è quello di migliorare il mondo“), di ridicoli paradossi (come quando Lin e compagni, dopo aver fatto una bella carneficina “piangono tutti“), punteggiato da una mania per le frasi ad effetto, delle quali neppure una bella, con per di più una serie di beceri svarioni stilistici (“La puzza di denaro sembrava quella di sudore e sporcizia degli stivali di un becchino“, ma gli esempi potrebbero continuare).

E così, fra abissi continuamente sfiorati, donne invariabilmente bellissime e invariabilmente innamorate di Lin, buoni/cattivi, cattivi/cattivi, buoni/buoni, se ne vanno 1.200 pagine di un romanzo che, ho concluso, davvero non valeva la pena di leggere.

Figuriamoci quello successivo.

Poronga

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Gregory David Roberts “L’ombra della montagna”

robEcco un sequel che rispetta le regole dei sequel…. di essere meno bello e più noioso del primo romanzo.

Avevo letto le mille pagine di Shantaram alcuni hanno fa, lo avevo trovato esagerato ma intrigante, la descrizione degli slum di Bombay, le vicende del protagonista sempre in bilico e sempre sorretto da una sorta di dirittura morale incardinata in comportamenti normalmente “criminali”, i percorsi di amore e i legami di eterna amicizia, c’era tutto non per poter parlare di letteratura ma certamente di un buon libro avvincente.

Ora l’”attesissimo seguito” (altre mille pagine), ripercorre gli stessi temi, l’amicizia incrollabile fra “uomini veri”, con loro codici d’onore che li rendono “diversamente criminali”, ad onta delle azioni delittuose di cui sono protagonisti. Però ne L’ombra della montagna i personaggi dopo le prime 200 pagine, sembrano ripercorrere sempre gli stessi temi,  girano a vuoto o comunque senza meta, arrivano allo stesso slum, subiscono le stesse esperienze e godono delle stesse fascinazioni “mistiche”, sulla montagna appunto.  Forse, se non avessi letto prima Shantaram sarei riuscito ad arrivare in fondo , qui mi sono arreso alla pagina 639. A chi non avesse letto né l’uno né l’altro mi sento comunque di consigliare Shantaram, ne vale la pena, con i limiti di cui sopra.

Silver 3