PPP torna ai “ragazzi di vita”. Rispetto al precedente, grande romanzo, aggiunge poco o nulla, ma perché poco o nulla c’è da aggiungere. Eppure questa “Vita violenta” si giustifica, eccome, ed anzi bisogna ringraziare questo grande e profondo artista di avercelo regalato, e se avesse avuto il tempo e la voglia di darcene un ulteriore, ci sarebbe stato da rallegrarsi ancora.
La gente è la stessa, stesso l’ambiente, stesse le storie, stessa la cifra espressiva, disadorna e poetica: “Poi un po’ alla volta l’aria si tinteggiò di luce, e la luce si incollò su ogni cosa, ma senza sole. Era un biancore secco e fiacco, che s’allappava sulla fanga, sulle facce distrutte, sui fari sempre accesi“.
Ci sono sempre questi ragazzi induriti e amari, precocemente cresciuti, eppure a loro modo sensibili alla vita e all’amore, le rarissime volte che se lo possono permettere; e c’è la loro vita, la loro storia, gli espedienti, la lotta, le cattiverie, la miseria; e la dolente e asciutta la partecipazione umana di P.
Il Riccetto di questo romanzo è Tommaso; il libro è tutto bello, in certe parti bellissimo, per esempio quando descrive la nottata interminabile, violenta e malandrina di Tommaso e compagni, o quando descrive la retata della polizia in quella specie di Caienna diseredata che è Pietralata.
Forse la “morale” del romanzo è rappresentata, simboleggiata, quando a un certo punto Tommaso vede dei ragazzi benestanti (per lui: al massimo apparterranno alla borghesia medio/piccola) giocare e pensa:
“ ’Intanto, stronzi stronzi, eccheli llì! Nun pensano a niente, giocano, se divertono, se fanno le studentine, pzt! E c’hanno er papà che je passa ‘a grana!’.
‘Questi me sa –continuò a pensare- che tra loro nun se fanno cattiverie… E che, conoscheno ‘a vita questi? Eppure me ce vorrebbe mischià, in mezzo a loro! Mannaggia la morte, vorrebbe pure io esse stato ammaestrato così, esse bravo ragazzo come loro!’ E invece niente, Tommaso resta dov’è, coi pari suoi e con la sorte segnata come loro, e trova anche lui la sua morte precoce, una fra tante, di tisi, e addio Tommaso”.
Memorabile anche la introduzione, breve e densa, di Erri De Luca.
Poronga