Il sogno dell’Anarchia lungo cinque generazioni. Si parte dall’Armando, detto il Garibaldo, che partecipò alle imprese del Generale, e che si trovò alla fine della sua vita nel porto di Genova, a gestire una specie di cucina galleggiante che vendeva pasti caldi ai marinai direttamente alle barche. Si prosegue con la figlia Anita, detta la Canarina per il colore giallognolo che impregnava le mani e il volto delle donne che, come lei, lavoravano il tritolo nell’industria bellica; un personaggio leggendario che vive fino a 117 anni. Poi Sirio, che combatte nella prima guerra mondiale, agli ordini del giovane tenente Alessandro Pertini, per poi dedicarsi a un pericolosissimo lavoro in miniera. Indi Saverio, detto l’Artista, cui è affidata la narrazione del libro, che a un certo punto inizia ad utilizzare le sua capacità di litografo per stampare bellissimi dollari falsi; carcerato a Marassi per sette anni, produce poi artigianalmente altrettanto belle pipe. Suo figlio Mauri farà invece il poliziotto, mentre il di lui figlio Saverio, detto il Menin, lo vedremo soprattutto alle prese con la sua “più che nonna” Canarina.
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Maurizio Maggiani “L’amore”
“E’ notte, ci sono due sposi”. Così comincia il libro in cui Maurizio Maggiani racconta l’amore. È un tema tanto risaputo e rimasticato quanto difficile, quindi molto rischioso. Ma Maggiani vince alla grande.
Racconta dunque i suoi amori: quello adolescenziale per la Padoan, di cui non riesce a ricordare il nome proprio, per la Mari, “marina marosa figlia del pesciaiolo”, per la luxemburghiana Chiarettta, per Ida la bislunga, ma nulla di più lontano da lui dell’osceno esibizionismo oggi imperante.
La prima volta fa l’amore con la giunonica Patri: “Così ho fatto l’amore per la prima volta in vita mia che forse ero svenuto, e se non ero svenuto ero in deliquio come santa Teresa. Sono rinvenuto nel momento dell’orgasmo, era una cosa mai sentita, non in quel modo voglio dire, ero nel gorgo dell’indicibile, e al cospetto dell’indicibile cosa mi viene da dire? Amore, amore. L’ho guardata negli occhi e le ho detto amore. Lei era sopra di me, non era mica leggera, si è tirata un po’ su per mettermi meglio a fuoco, ha fatto il suo cenno col mento e mi ha detto, no, il mio amore è Giovanni“. Continua a leggere
Maurizio Maggiani “La zecca e la rosa”
È finito l’inverno e io ho terminato il libro che mi ha tenuto compagnia ogni volta che, per lenire il freddo e il grigiore che l’inverno infiltra nelle ossa, mi infilavo in una vasca calda e leggevo, accumulando un piacere all’altro.
Si tratta del libro (ricevuto in dono da amici gentili) che di un autore amato raccoglie brevi storie di una paginetta o poco più già pubblicate su un paio di nostri quotidiani. Si potrebbero definire d’occasione, ma mi piace di più chiamarli ‘scritti d’amore’ perché è questo il sentimento che li accomuna tutti, sia quando Maggiani parla delle commoventi giunchiglie che va a raccogliere a piene mani nei prati insieme al nipotino quattrenne per donarle alle rispettive signore dei loro cuori, sia quando racconta la sua guerra domestica e vana a un esercito di ottuse, snervanti formiche. Continua a leggere
Maurizio Maggiani “Il coraggio del pettirosso”
Riporto la scheda che mi ero scritto nel 1995.
Da tempo non leggevo un libro di uno scrittore contemporaneo italiano così bello; credo da “La chimera” di Vassalli, che però forse non lo eguaglia.
Maggiani sa scrivere, eccome, e colpisce la personalità del suo stile, elegante ed accurato, la cui dominante però è una grande naturalezza e, quindi, semplicità; ciò nonostante che, talvolta, non sia facilissimo da seguire.
M. regala così delle pagine davvero bellissime: certe descrizioni del deserto, la morte della mula, le apnee del protagonista in fondo al mare, i suoi colloqui con Azena, l’incontro con Ungaretti, ecc..
Ma la cosa che più mi ha colpito del libro è la sua ricchezza e generosità, davvero fuori dal comune. In trecento pagine c’è di tutto: il deserto, il mare, la poesia, l’anarchia, il protestantesimo, l’inquisizione, i palestinesi, Alessandria d’Egitto… Sembrerebbe un gran guazzabuglio se non fosse per la capacità di M. di governare e padroneggiare tutto questo materiale così singolarmente eterogeneo componendolo perfettamente, ed in modo completamente plausibile, in unità.
Il libro scorre, scorre, e diviene sempre più bello.
Questa la storia: Saverio Pascale, l’io narrante, viene raccolto in coma nel mare, a seguito di una delle sue immersioni.
Ridotto malissimo, viene curato in un oscuro ospedale alessandrino da un singolare medico armeno, che gli prescrive quale terapia di scrivere le sue memorie.
Pascale dichiara, mentendo, che le sue memorie di vita vissuta non sono un granché; per riempire questo vuoto racconterà allora prima il suo vissuto, poi i suoi sogni.
Il vissuto (parte prima: “Il libro del deserto”) è la sua vita alessandrina, i viaggi nel deserto, l’incontro con la poesia -o meglio, con Ungaretti- la cui presenza quasi elfica e vagamente magica aleggia per tutto il libro; e poi la scomparsa del padre, il suo strano viaggio in Italia alla ricerca delle sue radici e del suo paese, Carlomagno.
Il sogno (parte seconda: “Il libro di Pascal”) è il prolungamento della vita a partire dal momento in cui Ungaretti, in un fugace incontro, dà a Saverio un’antica carta ove si racconta del supplizio di un suo antenato, Pascal, accusato di stregoneria ed arso vivo.
La storia di Pascal si intreccia e si confonde con la storia del popolo di Carlomagno, gli antichi Apui, popolo selvatico ribelle, avo della gente -i cavatori di marmo delle Alpi Apuane- da cui Saverio discende.
La terza e ultima parte (“Il libro di Sua”) è l’alternanza di vita e di sogno; vi compaiono Sua, compagna di Pascal, e Faitha, compagna palestinese di Saverio.
Non racconto ovviamente la fine, una febbrile e memorabile notte…
Veramente bello; da buttarcisi a pesce per chi non lo abbia letto, e magari da rileggere per chi lo abbia già fatto.
Poronga
Maurizio Maggiani “Il Romanzo della Nazione”
Non avevo mai letto nulla di Maggiani. Sono stato spinto da due cose: una mia cara amica che me ne aveva parlato come di una persona interessante, e la recensione di D’Orrico, critico del Corriere col quale sono quasi sempre in totale disaccordo, che ha stroncato categoricamente questo libro. Letto il libro, dico che la mia amica batte D’Orrico 6-0 6-0 e passa al turno successivo. Ho visto anche che sull’Asino si è parlato molto bene di un suo romanzo, Il coraggio del pettirosso, e a questo punto sono curioso di leggerlo.
Venendo a Il Romanzo della Nazione, sono 300 pagine fitte di racconti, di ricordi, di voci raccolte in vari modi. Devo dire che trovo risibile l’accusa, lanciata da più parti, di aver scritto non il romanzo della nazione ma il romanzo della sua famiglia. Anzitutto perché fin dall’inizio Maggiani ci fa partecipi della genesi del libro, che era un progetto ma che poi è stato più volte rimandato sino alla morte del padre, e dunque il titolo si riferisce più al processo creativo dell’autore che ad un prodotto compiuto. E poi perché, con una tecnica che è letteraria e non storica, con questa sua capacità di raccontare e mischiare storie e tempi diversi, alla fine un ritratto dell’Italia ce lo dà veramente. Visto con i suoi occhi, ci mancherebbe altro, e con la scelta e la narrazione di tante storie che ha sentito fin da piccolo nella sua famiglia. E cos’altro dovrebbe fare uno scrittore, se non elaborare con la propria sensibilità le storie che ha sentito? Ognuno naturalmente a modo suo, che senso avrebbe scimmiottare La storia della Morante ( che fra l’altro a me non piacque per nulla, ma quando la lessi ero molto giovane )?
Ancora più fuori luogo mi sembrano alcuni attacchi sulla concezione della storia, la vecchia querelle se contino più i grandi personaggi o le piccole vicende che collettivamente formano una nazione. Polemiche interessanti, forse insolubili e che riguardano appunto gli storici. Gli scrittori possono sposare una teoria o l’altra ( Tolsoj docet ) e scrivere libri belli o brutti indipendentemente dalla teoria, ma solo per le loro qualità letterarie. Nel caso di Maggiani, credo che alcune accuse siano puramente ideologiche, visto che non fa nulla per nascondere le sue tendenze anarchiche e anzi ne va fiero.
Ho già usato molto spazio per difendere Maggiani – che certamente si saprebbe difendere da sé – quindi devo spiegare brevemente perché il libro mi è piaciuto. Maggiani parte dalle storie della sua famiglia, parla molto della sua infanzia, risale agli anni della Resistenza, fa una lunga puntata sugli anni poco dopo l’Unità, descrive la ciclopica opera di costruire la nave da guerra più potente del mondo ( significativamente, non sparerà mai un colpo e la sua ultima missione sarà portare soccorso alle vittime del terremoto di Messina ), risale fino a Napoleone, alla Repubblica Cisalpina e ai moti rivoluzionari della prima metà dell’800. Per chi si diletta con le concezioni della Storia con la maiuscola, dirò che appare anche la Sacra Triade Cavour-Mazzini-Garibaldi, ma pure loro visti con gli occhi della storia con la minuscola. Naturalmente questo può farlo chiunque. Quello che conta è la sensibilità, la scrittura semplice ma profonda, la capacità di individuare gli episodi quotidiani ma importanti, il dono di riuscire a rendere i personaggi vivi, farci sentire la loro voce, farci vedere i loro atteggiamenti. Solo per fare un esempio, questo romanzo è anche un grande atto d’amore verso il padre e la madre, come solo un figlio ormai maturo può fare. Persone semplici, di sentimenti forti, ma schive nell’esternarli. Quando muore il padre, un’infermiera invece si lascia andare alla commozione, e allora Maggiani immagina cosa avrebbe fatto la madre se fosse stata ancora viva: “ Sono sicuro che lei avrebbe vegliato mio padre, ma come l’avrebbe fatto una colonna ionica. Questo era il suo carattere, niente male per una magliaia a cottimo moglie di un operaio elettricista. ”
E per finire, voglio mettere l’accento su un altro aspetto che mi ha colpito: tutto il romanzo è pieno di musica, la musica che cantavano i suoi parenti, le canzoni popolari, quelle imposte dal fascismo e poi la musica che Maggiani ha amato negli anni giovanili ( i Cream, Jimi Hendrix, i Bee gees, i Bee Gees della prima ora, non quella melma che sono diventati poi ) e soprattutto la sua grande passione, Puccini ( … a diciotto anni ero già pucciniano. Frazione pucciniana della cellula Jim Morrison ).
Insomma, è un libro che vale senz’altro la pena di leggere. L’unico dubbio che ho è se sia un po’ troppo legato alle esperienze di una generazione, quella nata negli anni Cinquanta, o se possa interessare anche i più giovani. Penso di sì, ma attendo conferme.
Tiresia