La trama mi pare inutile accennarla: dico solo che l’ho trovata stanca, lenta, poco articolata e ancor meno avvincente. È curioso anche il finale, o meglio il non-finale, quasi che O’Brian si sia stancato di andare avanti, poco persuaso lui stesso del suo lavoro.
Non salvano il romanzo alcuni pur gustosi quadri di vita marinara: i frenetici e abilissimi carpentieri di bordo che riparano i danni subiti dalla nave mentre infuria la battaglia; la cavalleria squisita fra ufficiali nemici dopo essersi sparati addosso per due giorni; il ferreo e deliziosamente anacronistico rispetto di alcuni riti, come la lucidatura dell’argenteria del capitano Aubrey nonostante il naufragio; la straordinaria abilità di questi marinai, capaci di tirar fuori una nave nuova da un relitto.
E neppure lo salvano le descrizioni dell’intrepido e quasi fanciullesco entusiasmo di Maturin per l’osservazione naturalistica, che stavolta lo porta addirittura a rischiare la pelle per la puntura di un ornitorinco.
Insomma, lettura sconsigliabile.
Che abbia ragione Silver 3 che molti autori alla lunga stufano? Con le debite eccezioni, naturalmente.
Poronga