L’Iperborea continua nella sua meritoria opera di farci conoscere le letterature del Nord Europa. In questo caso è il norvegese Solstad, mai tradotto prima in italiano, con questo romanzo dal titolo bellissimo e inquietante, uscito ormai otto anni fa ma che leggo solo adesso. Nel 2010 è stato tradotto un altro romanzo, Timidezza e dignità, che ho letto prima di questo e che ho trovato molto bello.
Tentativo… è del 1983 e il protagonista è un architetto urbanista quarantaduenne – l’età che aveva allora Solstad, che narra la vicenda in prima persona come se gli fosse stata riferita dal protagonista. Stanco del suo ambiente di alta borghesia intellettuale, dubbioso delle scelte politiche e sociali della socialdemocrazia, decide di lasciare tutto, amici e famiglia, e di andare a vivere in una di quelle città-satellite per le classi operaie che da architetto, in buona fede ma con una discreta dose di paternalismo nei confronti delle classi subalterne, aveva contribuito a concepire e a realizzare.
Vediamo così la difficoltà se non l’impossibilità di comunicazione fra un intellettuale socialdemocratico armato delle migliori intenzioni e la vera classe operaia. Intreccia una relazione che non può diventare vera amicizia con una coppia con bambino: lui lavora come commesso, fa poi un secondo lavoro, naturalmente in nero, e altri traffichetti poco leciti per potersi permettere un tenore di vita più alto, e al di fuori di questo è interessato soltanto, in maniera ossessiva, a vedere anche tre o quattro film – naturalmente americani – per sera. Lei ha avuto il bambino a 18 anni, adesso ne ha 24, è disgustata dalla sua vita e dall’uomo che ha sposato, e sogna qualcosa di diverso che non sa bene cosa sia e che comunque molto difficilmente potrà avere. E’ lei, più del marito, a mettere in crisi le concezioni sociali dell’architetto; è in qualche modo una creatura primitiva, pre-sociale e dunque pre-welfare state, lo mette di fronte ad un argomento a cui lui non era preparato: la Vergogna. La politica ha le sue ragioni, ma ricorrere all’Assistenza Sociale è prima di tutto una vergogna, e un uomo che non sa provvedere alle esigenze della propria famiglia è, molto banalmente, una testa di… E, ulteriore complicazione, in questo suo essere primitiva emana una carica erotica alla quale il nostro protagonista non può restare insensibile. Inevitabilmente, il finale sarà drammatico ma con risvolti anche grotteschi.
Siamo agli inizi degli anni ’80, la critica alla socialdemocrazia non è fatta, come sarebbe diventato comune pochi anni dopo, da destra, ma da sinistra, anzi dall’estrema sinistra: Solstad è dichiaratamente comunista e le sue posizioni politiche oggi possono sembrare anacronistiche. Immagino che 30 anni dopo anche le sue opinioni siano cambiate, e comunque l’editore ci informa che è ritenuto da molti il massimo scrittore norvegese vivente. Quello che trovo interessante non è la sua visione politica, o se la critica alla socialdemocrazia venga da destra o da sinistra, ma il suo sguardo di artista. E in questo Solstad dimostra un grande talento letterario. Nelle sue pagine si vive l’alienazione umana, al di là della politica, al di là delle buone o cattive intenzioni della socialdemocrazia e del welfare state. Sentiamo non solo la lezione del suo grande connazionale Ibsen, ma lo spirito di Kafka e Camus. Insomma, sentiamo il dipanarsi di uno dei grandi filoni della letteratura del ‘900.
Traddles
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