Su “La Lettura” di questa settimana Franco Cordelli recensisce “Stoner” di J. Williams.
Bisogna pazientemente aspettare per cinque colonne, dedicate al tentativo di dimostrare quanto è bravo, prima che C. giunga al punto.
L’attacco: “La prosa di Williams è un insondabile mix dei suoi grandi predecessori, da Theodore Dreiser a Sherwood Anderson o a Thomas Wolfe”.
Che vuol dire? Sotto il vestito niente.
Ma veniamo al libro: “La storia, se così la si può chiamare, è una frequente apparizione di luoghi comuni: matrimonio, nascita di una bambina, suicidio del suocero nella crisi del ’29, desiderio della moglie di null’altro che essere protetta, decisione della figlia di andarsene di casa e sua conseguente caduta nell’alcolismo, apparizione dell’amore, obbligo si separazione degli amanti a causa del perbenismo universitario, anzi cittadino, solitudine, paesaggi, altri paesaggi, stagioni, ancora stagioni”.
Da una puerile e sciatta banalizzazione del genere anche “Guerra e pace” uscirebbe a pezzi.
Avanti così per qualche altra riga e poi la mazzata finale; sì, perché Williams si è macchiato dell’orrido delitto di scrivere che la figlia di Stoner “Si versa una generosa dose di whisky”. Non va bene? Cosa doveva scrivere: robusta, abbondante, forte? Il libro diventava bello?
Fine della recensione.