I critici letterari

asinoicona-voto-asino-vuotoicona-voto-asino-vuotoicona-voto-asino-vuotoicona-voto-asino-vuotoicona-voto-asino-vuotoSu “La Lettura” di questa settimana Franco Cordelli recensisce “Stoner” di J. Williams.

Bisogna pazientemente aspettare per cinque colonne, dedicate al tentativo di dimostrare quanto è bravo, prima che C. giunga al punto.

L’attacco: “La prosa di Williams è un insondabile mix dei suoi grandi predecessori, da Theodore Dreiser a Sherwood Anderson o a Thomas Wolfe”.

Che vuol dire? Sotto il vestito niente.

Ma veniamo al libro: “La storia, se così la si può chiamare, è una frequente apparizione di luoghi comuni: matrimonio, nascita di una bambina, suicidio del suocero nella crisi del ’29, desiderio della moglie di null’altro che essere protetta, decisione della figlia di andarsene di casa e sua conseguente caduta nell’alcolismo, apparizione dell’amore, obbligo si separazione degli amanti a causa del perbenismo universitario, anzi cittadino, solitudine, paesaggi, altri paesaggi, stagioni, ancora stagioni”.

Da una puerile e sciatta banalizzazione del genere anche “Guerra e pace” uscirebbe a pezzi.

Avanti così per qualche altra riga e poi la mazzata finale; sì, perché Williams si è macchiato dell’orrido delitto di scrivere che la figlia di Stoner “Si versa una generosa dose di whisky”.  Non va bene? Cosa doveva scrivere: robusta, abbondante, forte?  Il libro diventava bello?

Fine della recensione.

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I critici letterari

Alessandro Piperno su “La lettura” di oggi” “Di norma le recensioni sono talmente tediose …  Le più modeste svelano la trama, lodano parti del romanzo a scapito di altre, rivelano influenze letterarie (come se a qualcuno importasse). Le buone recensioni sono quelle che hanno il coraggio di parlare d’altro“.
Bravo Piperno, dritto al punto. Io, comune mortale, se leggo la recensione  di un libro è proprio perché VOGLIO che mi si parli di quel libro. Ed è per questo che ODIO le recensioni -e in Italia sono la grande maggioranza- che il recensore usa come pretesto per far vedere quanto è bravo o cosa gli interessa: e chi se ne frega.
Prosegue Piperno: “Il recensore brillante dà peso alle inezie e se ne infischia delle idee generali ... Talora non si perita nemmeno di finire il libro recensito … Tale atto di disonestà ermeneutica non è poi così esecrabile. A un sommelier non chiediamo mica di scolarsi l’intera bottiglia“.
Gesù…
E non si dica che “è una provocazione”, perché una sciocchezza, a qualunque scopo sia detta, una sciocchezza rimane.

Poronga

I critici letterari

Letto su “Tuttolibri” di sabato scorso a firma di Bruno Quaranta:

Adda passà ‘a nuttata, magari, in attesa di passare, apparendo come una una bella giornata. Sortilegio unico, vesuviano, ovvero come scrollarsi di dosso l’ossessione del vero. Tra Eduardo e Don Raffaele (La Capria) oscilla l’esordio di Francesco Mari, La ragazza di Scampia, ‘autenticato’ da Antonella Cilento, la voce mai vacua che è: ‘Questo romanzo narra della controversa rivincita della menzogna letteraria sullo strapotere della cronaca’.

Perché la cronaca non è sempre, stendhalianamente, la matrice della ‘finzione’. Non di rado –Napoli docet, e oltremodo- la quotidiana commedia o tragedia genera la caricatura, il luogo comune, l’oleografia. Risulta vano, insomma, il tentativo –dove c’è- di trasfigurarla, identificandone la ‘forma’ e il ‘tono’, così infrangendo -auspicherebbe Julien Gracq- ‘la pericolosa manovra di intimidazione da parte del non letterario’”.

Aiuto ! Poveri noi (e povero anche Francesco Mari).

Quello di cui sopra non è che un esempio fra i tanti.

L’esibizionismo dei critici è secondo solo alla loro inaffidabilità.

Poronga