Rinchiuso in carcere in attesa della pena capitale, Humbert Humbert (questo lo pseudonimo che il protagonista si è scelto) narra ai suoi giudici la sua storia: la storia di una perversione -l’irresistibile attrazione provata per le “ninfette” ossia le bambine in età prepuberale- che ne ha segnato la vita e la rovina.
Humbert, letterato quarantenne di successo, che si dipinge bello (anzi, bellissimo), colto e raffinato -e non si fa fatica a credergli- ha sempre provato una speciale attrazione per le adolescenti in boccio, che si trasforma in folle concupiscenza e amore quando per caso incontra dolore Dolores (poi Dolly, Lola e infine Lolita), una ragazzina della provincia americana tutta languori e capricci.
Per poterla meglio frequentare Humbert ne sposa la madre, poi fortunosamente (eh si!) perita in un incidente stradale che gli consente finalmente di “occuparsi” liberamente della figliastra.
Cominciano così le peregrinazioni per l’America di Humbert e Lola, che vagano fra grandi alberghi e miseri motel, in uno stretto rapporto a due punteggiato da litigi, riconciliazioni, noia e improvvisi entusiasmi.
Tutto è dominato dal senso di mancanza di un futuro qualsiasi, dal terrore che la tresca tra i due venga scoperta, dai mutevoli e pigri umori della bambina, dall’insaziabile appetito sessuale di Humbert e, soprattutto, dal suo struggente e disperato amore -splendide alcune descrizioni incantate e quasi dolorose di Lolita, per esempio quando gioca a tennis-, che non potrà avere che un tragico epilogo.
Non racconto di più: dico solo che questo libro, che un assurdo luogo comune indica come roba da sporcaccioni (allora provate a leggere “Ada”, al cui confronto “Lolita” è roba da educande) è un capolavoro e Nabokov un grande scrittore, dallo stile fulmineo ed elegantissimo (“Subito mi è parso di avere il cuore dappertutto”, fa dire a H. nel descrivere uno dei primi incontri con Lolita).
Egli riesce a far sì che, nel romanzo, la perversione e l’inconfessabile si respirino a pieni polmoni, utilizzando però costantemente gli strumenti di un’ironia quasi demoniaca ma al contempo ironica e assai spiritosa; il tutto a far intravvedere appena un senso di grande e tragica disperazione e sofferenza, che mi è parsa la cosa migliore di un libro di notevole bellezza.
Bellezza che neppure la trasposizione cinematografica di quel genio di Kubrik è riuscita a rendere appieno.
Poronga