Ho iniziato questo breve libro senza sapere nulla dal suo autore, godendomi la rievocazione viva e plastica di un mondo umile ed autentico, quello della campagna del Monferrato negli anni dal ’40 al ’60.
Bianchi parla di cose umili e semplici: la vigna, il pane, il vino, il Natale, la gastronomia, le rare feste, i detti. Il tutto compone una saggezza e una sapienza semplici quanto profonde, sedimentate nel corso di generazioni succedutesi senza lasciare alcuna traccia se non, appunto, questa sapienza e saggezza collettive.
Non è per nulla una operazione nostalgica, ma piuttosto di verità, tanto più giustificata e preziosa in quanto legata a un mondo che oramai si è perso, almeno nella dimensione in cui l’ha conosciuto lo scrittore.
Al servizio di tutto ciò Bianchi mette la sua sincera, profonda e meditata partecipazione per il mondo degli umili, e lo fa in modo autentico ed essenziale. Per esempio: “fortunatamente ogni tanto un soffio di gratuità ci riporta il gusto e il sapore di una sapienza contadina che sapeva essere creativa e generosa per fare anche della propria ristrettezza un’occasione festosa di condivisione, perché da sempre i poveri sono quelli che sanno donare con gioia”.
Dopo di che ho scoperto che Enzo Bianchi e una figura forse unica: un grande uomo di fede, di testimonianza e di meditazione, capace di parlare anche a quelli che, come me, non credono.
Davvero un bel libro, che probabilmente solo uno con il retroterra del suo autore –sto ben alla larga dalla parola “background”, qui ridicola – avrebbe potuto scrivere.
Poronga