Ultimo volume di una trilogia i cui primi due episodi sono già stati recensiti sull’Asino dalla signora nilsson e da me stesso, il che mi consente di limitarmi a poche considerazioni aggiuntive. Se in Paradiso e inferno eravamo in mare, e in La tristezza degli angeli sulle terribili montagne dell’interno, qui gran parte dell’azione si svolge nell’anonimo Villaggio sperduto fra le lande islandesi, con i suoi soli 800 abitanti. Ciò permette a Stefànsson di concentrarsi su alcuni di questi, diversi dei quali avevamo già conosciuto, dal vecchio lupo di mare cieco ma con una ricca biblioteca, al direttore di scuola che, in una rissa stile saloon del far-west con dei marinai danesi stende l’avversario tramortendolo con citazioni dotte. E soprattutto ci sono almeno un paio di figure femminili davvero memorabili. Ma il protagonista è sempre lo stesso, il ragazzo senza nome che nell’arco dei tre libri, e di cinque o sei mesi di avventure, caratterizza la trilogia anche, ma non solo, come romanzo di formazione.
Come già detto nelle note ai primi due libri, Stefànsson più che un romanziere è un poeta che in alcuni casi sceglie la prosa per dare forma alla sua poetica. L’Islanda è una terra dura e spietata, c’è spazio soltanto per i temi forti, quelli veri ed eterni: la vita, la morte, la paura, l’amicizia e, soprattutto, l’amore. Il tutto mediato dal potere enorme della parola.
Non voglio ripetere cose già dette dalla nilsson e da me per spiegare il grande fascino esercitato dalla scrittura di Stefànsson, e mi limito a due lunghe citazioni.
” Poche cose contano più per un essere umano quanto ridere, in realtà anche piangere, sono molto più importanti del sesso, più ancora del potere, più ancora dei soldi, quello sputo del diavolo che ci avvelena il sangue, chi non ride mai con il tempo si trasforma in pietra. ”
E chiudo con questa, che potrebbe essere il manifesto di un femminismo del XXI secolo, o di ogni tempo.
” Sarebbe tutto diverso, e migliore, … se Gesù fosse stato una donna. .. Se Dio avesse voluto davvero cambiare il mondo… avrebbe mandato sua figlia, non suo figlio. La figlia di Dio avrebbe tirato fuori tutto il peggio dell’uomo, sarebbe stata picchiata e disonorata e umiliata, e i romani l’avrebbero violentata prima di crocifiggerla. Avrebbe rivelato tutti i nostri istinti più bassi e forse questo sarebbe bastato per farci cambiare. Voi uomini non avreste potuto evitare di capire che cosa significa essere donna, che cosa abbiamo dovuto sopportare, che cosa significa essere sempre sottomesse, che cosa significa nascere di secondo rango. Ma Dio non capisce le donne, per questo ha mandato suo figlio. ” Non è bellissimo?
Tiresia