Luciano Bianciardi “La vita agra”

bianciaNel 1962, in pieno boom economico, B. scrive un libro completamente “fuori dal coro”, e fortemente critico nei confronti della società opulenta che si andava delineando.

Se il libro è “fuori dal coro” è ovvio che il suo protagonista non possa che essere -o almeno tentare di essere- “fuori dal branco “. Dopo un’esperienza come giornalista in un quotidiano di sinistra moralista e bacchettone, sceglie con la sua donna un volontario isolamento lavorando in nero quale traduttore.

Ma il nostro deve fare anche lui i conti con la disumana e spersonalizzante società del progresso. Costretto per motivi di lavoro a vivere in una Milano mai nominata ma riconoscibilissima, viene descritto nel suo quotidiano combattere con bollette, affitti, cambiali, spietati esattori ecc.; il tutto con l’angoscia di non potersi ammalare perché ciò vuol dire più spese e meno soldi.

Alla totale assenza di qualsiasi solidarietà umana (tutti occupati a correre e a pagare, diffidando l’uno dell’altro) il protagonista oppone la utopia di una società in cui nessuno lavora e tutti fanno l’amore; ma lui per primo non ci crede, come non crede a un balordo e velleitario progetto che vagheggia e che, come la sua utopia, rimane lì, sott’acqua, sommerso da scadenze, conti e ansia di non arrivare a fine mese.

Un libro bello e ben scritto, aspro come il suo autore, dai numerosi spunti autobiografici.

Di B. non ho letto altro, e sarei grato di eventuali consigli asinistici.

Poronga

 

 

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