Sull’onda del successo dell’ormai famoso Stoner è uscita la ristampa in italiano di un precedente romanzo di Williams , che nel 1974 vinse una delle prime edizioni del National Prize Award e fu celebrato con grande entusiasmo da gran parte della critica statunitense.
Il libro fu allora paragonato ad altre famose biografie di imperatori romani , ma sarebbe impossibile ritrovarvi la spregiudicata vivacità di Io,Claudio di Robert Graves o l’appassionata identificazione che anima le Memorie di Adriano della Yourcenar.
Le vicende di Roma dall’assassinio di Cesare agli ultimi giorni di vita di Augusto vengono ricostruite attraverso lettere e diari attribuiti ad amici e collaboratori dell’imperatore, tra cui Marco Antonio, Agrippa, Mecenate ,Orazio ,Cicerone nonché Cleopatra,Livia e Giulia. Pochissime le lettere di Augusto, salvo l’ultima a cui viene dedicato per intero il capitolo finale ,cinquanta pagine bellissime che in qualche modo costituiscono la chiave dell’intero volume.
Chi era in realtà Cesare Ottaviano Augusto? Chi era quest’uomo dal destino straordinario che trovatosi a soli 18 anni a ereditare il nome ,le ricchezze e i doveri di Giulio Cesare, riuscì a sopravvivere alla ferocia delle lotte di potere tra le diverse fazioni del Senato , si liberò ad uno ad uno dei suoi nemici e garantì all’impero quaranta anni di pace, nei quali cambiò la vita pubblica e privata dei cittadini romani mettendo mano a riforme costituzionali , legislative e amministrative ,riorganizzò l’esercito e le province, cambiò il volto della città di Roma; secondo Svetonio ‘la trovò di mattoni e la rifece di marmo’.
Era un uomo dal carattere chiuso e dalla salute malferma , conservatore e di gusti sobri, che non amava la violenza e probabilmente neanche la vita militare, furbo e dotato di grande abilità diplomatica , seppe pazientemente costruire il proprio mito dando grande importanza al consenso del popolo. Uno dei segreti del suo successo sembra essere stata la grande prudenza e discrezione, la capacità di non scontentare nessuno, in particolare l’attenzione a non sollevare sospetti sulla sua ipotetica ambizione; tenne sempre saldamente nelle sue mani e in quelle dei suoi amici più fidati il potere, ma senza accettare mai che quella che rimase formalmente una Repubblica, e che solo noi chiamiamo Impero, venisse modificata da pericolose novità costituzionali.
Fu lui stesso a scrivere una sorta di epigrafe per dare conto degli obiettivi realizzati nel corso della sua vita ,Le Res gestae Divi Augusti incise su due tavole di bronzo furono appese nel suo mausoleo e replicate in numerose province dell’impero; esse danno un sommario resoconto, anche se non del tutto sincero e certamente insufficiente, di tutte le sue opere, in cui con la consueta prudenza egli ricorda “ di aver sempre rifiutato tutti gli onori e le cariche che non fossero costituzionali.”
Williams dichiarò in un’intervista, rilasciata all’uscita del libro , che ciò che lo aveva spinto a scriverlo era la curiosità di capire come fosse la mente di un uomo costretto a compiere delitti crudeli per sopravvivere e garantirsi la riuscita della propria missione.
Nella ricostruzione della vita della società romana, corrotta e agitata da ogni sorta di vizi, l’autore non si attarda a narrare l’incessante attività di rinnovamento morale e di riorganizzazione a cui Augusto si dedicò con la collaborazione di suoi fidi, ma illumina piuttosto la vita familiare , i numerosi matrimoni e le morti di nemici e di amici e parenti, le serate con i poeti,gli intrighi , la ricerca di un erede a cui lasciare il potere .Uno spazio rilevante trova la tragica vicenda della amatissima figlia Giulia , secondo la tradizione esiliata a Ventotene per le ripetute scandalose vicende di adulterio pubblicamente esibite . Williams avvalora invece la tesi che l’esilio senza perdono fu l’espediente giuridico trovato da Augusto per salvarla dalla condanna a morte che avrebbe dovuto punire la partecipazione di Giulia a una congiura dei suoi amanti che avrebbe eliminato suo marito Tiberio e lo stesso Augusto.
Si giunge così all’ultimo capitolo interamente dedicato a una lettera scritta da Augusto, ormai vicino alla morte, al suo amico Nicolao Damasceno, storico e filosofo. C’è a questo punto una discontinuità rispetto al resto della narrazione; nel lunghissimo sfogo che si estende per diversi giorni durante la navigazione verso Capri, l’imperatore apre completamente il suo animo , si lascia trasportare dalla malinconia della vecchiaia . Rivela la propria indifferenza verso le molte illusioni della vita tra cui la ricchezza e il potere, la vanità della passione amorosa; confessa di aver dovuto rinunciare anche a un bene prezioso come l’amicizia per sostenere in solitudine il peso di un destino che non poteva essere condiviso con nessuno. Dal suo disincanto sembra si possa salvare soltanto una forma di amore più puro, quello dei poeti e dei filosofi per il loro studio, che non riesce tuttavia ad essere innocente quando si trasforma in potere esercitato sul lettore.
Difficile sottrarsi alla tentazione di pensare che solo in questa lunga confessione Williams abbia trovato la possibilità di identificarsi con il vecchio imperatore.
Marina
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