Una mattina, al risveglio, uno scarafaggio si ritrova trasformato in un uomo. E che uomo! Trattasi infatti nientedimeno che di Jim Sams, il primo ministro britannico, che insieme al suo governo fa passare una riforma epocale che rovescia il criterio fondamentale dell’economia di scambio: d’ora in poi chi lavorerà dovrà pagare per farlo, chi venderà un bene qualsiasi dovrà riconoscere all’acquirente il prezzo del suo valore, e così via per ogni tipo di transazione. Ogni forma di risparmio è bandita: più “compri” e più ti arricchisci. Continua a leggere
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Ian McEwan “Nel guscio”
Io ho una passione per McEwan,ma non tutti qui all’Asino la condividono, e proprio per questo ho lasciato a lungo sul comodino il suo ultimo romanzo in attesa di una recensione. Visto che non è arrivata, mi sono deciso a leggerlo e adesso a scriverne.
Come molti sapranno, il guscio è il ventre materno e l’io narrante è un feto in procinto di nascere. L’idea in sé non è originale, è stata usata da altri scrittori e anche dal cinema, il colpo di genio di McEwan è che il bambino che sta per nascere altri non è che… Amleto! Di ciò non si fa mistero sin dalla citazione iniziale. Con alcune differenze però, non solo di ambientazione cronologica. Il nascituro non è affatto indeciso come Amleto, anzi è decisamene volitivo, e pur essendo in apparenza altrettanto impotente per ragioni evidenti, riesce, nel suo piccolo, ad influire sugli eventi attraverso il suo rapporto col corpo della madre. E se la tragedia di Shakespeare si conclude con la morte di Amleto, qui al contrario con la nascita, tanto che la frase finale è ” Il resto è – non silenzio ma – caos “.
Ian Mc Ewan “L’inventore dei sogni”
Peter Fortune è un bambino molto particolare: è un vero sognatore, e sogna così forte che chi non lo conosce bene lo prende per tonto, svagato com’è. Per forza, in lui sogno e realtà s’intrecciano così profondamente che davvero pare vivere in un’altra dimensione.
Ecco quindi succedersi una serie di “quadri”, sorta di sketch sul succedersi dei vari sogni ad occhi aperti di Peter, che per la precisione consistono in fatti e situazioni reali che vengono vissuti e rielaborati attraverso la fantasia e la sensibilità di questo bambino decenne.
L’esercizio riesce bene a McEwan, che mostra qui delle qualità un po’ diverse da quelle che gli conoscevo: in particolar modo una spiccata e brillante fantasia.
Ian McEwan “L’amore fatale”
Joe è un affermato e agiato autore di testi di divulgazione scientifica. Ama, riamato, la bella Clarissa, docente universitaria. È’ complessivamente felice.
Un giorno si trova in giro con Clarissa nella campagna inglese per un picnic. Attirato da alte grida, si accorge di un uomo che tenta disperatamente di mantenere a terra un pallone aerostatico dentro il quale è prigioniero un ragazzino terrorizzato. Insieme ad altre tre o quattro persone si precipita per cercare di zavorrare il pallone ed evitare una tragedia.
La descrizione di quello che avviene è magistrale; McEwan ha una capacità narrativa quasi unica nel sospendere determinati momenti e descriverli fotogramma per fotogramma, con una precisione e chiarezza quasi scientifiche e mozzafiato (una cosa del genere mi pare faccia anche in “Bambini nel tempo”, descrivendo un mancato incidente automobilistico, probabilmente mortale).
Non solo: questo episodio diviene mezzo per una potente metafora: “ Appesi lassù a qualche metro di altezza sopra la scarpata delle Chiltern, il nostro equipaggio affrontò l’antico irrisolto dilemma morale fra il noi e il sé. Qualcuno optò per il sè, e a quel punto non ci fu più nulla da guadagnare scegliendo il noi”.
Da quel momento tutto per Joe cambia, e ciò non tanto per l’accaduto, quanto perché uno del manipolo dei salvatori, Parry, si innamora perdutamente di lui. È un sentimento totalmente patologico, farneticante, incontenibile, che invade suo malgrado la vita di Joe.
Questi, pur essendo persona molto razionale e controllata, al punto da riuscire esattamente ad individuare anche la sindrome psicotica di Parry, ne viene quasi travolto, complice in questo anche lo scetticismo non solo della polizia ma addirittura della sua donna.
Il romanzo credo voglia essere una rappresentazione simbolica di come il caso e le coincidenze possano sconvolgere le nostre vite, molto più appese a un filo di quanto normalmente si pensi e si voglia credere; lo stesso Joe si trova a constatare che, di fronte alle avversità, “Come molte persone che conducono un’esistenza sicura, immaginavo subito il peggio“.
Ho però trovato che un buon 80% del romanzo, ossia dall’ingresso di Parry in poi, nonostante alcuni sprazzi, sia troppo stagnante e insistito, e quindi nel complesso noioso. Peccato perché l’inizio è davvero eccellente.
Alla fine dei conti questo romanzo, fra quelli che ho letto di McEwan, è quello che mi è piaciuto meno.
Poronga
Ian McEwan “Amsterdam”
Il più celebrato fra i romanzi di McEwan (vincitore del Booker Prize) è quello che mi è piaciuto meno.
McEwan si è voluto divertire a raccontare una storia all’insegna del cinismo, che inizia dalla morte di Molly, donna fatale e ammaliatrice.
I protagonisti sono due storici amanti della donna, fra loro amicissimi: Clive, osannato compositore di musica classica impegnato a comporre la sua sinfonia definitiva, e Vernon, giornalista-squalo di gran successo, e direttore di un importante quotidiano in declino.
Di rincalzo sta Julian, ultimo amante di Molly, in predicato di diventare nientemeno che Primo Ministro.
Sullo sfondo George, marito di Molly, che alla fine si scopre essere molto meno cornuto e mazziato di quanto si possa credere.
Il libro, breve, sembra la piece romanzata di una commedia brillante, ma non molto di più, e non lascia granché, neppure in termini di divertimento.
Un po’ fastidiosa una certa atmosfera “glamour/upper class” che vi si respira.
Insomma, Mac ha scritto ben altro.
Poronga
Ian McEwan “The Children act” (La ballata di Adam Henry)
Fra poco uscirà la traduzione italiana dell’ultimo libro di McEwan, col titolo che vedete sopra e su cui dirò qualcosa alla fine, ma io l’ho letto in originale e preferisco parlarne subito.
La protagonista è Fiona Maye, un alto magistrato del Tribunale dei minori, quasi sessantenne, che si è trovata spesso ad affrontare problemi giuridici spinosi – ad esempio ha dovuto decidere di far morire un gemello siamese per salvare almeno la vita dell’altro. Il suo ambiente è quello dell’alta borghesia intellettuale: suona il piano ad ottimo livello, ama la pittura e la poesia. Non ha avuto figli, e il suo matrimonio è un po’ in crisi anche a causa di una sua certa freddezza e del troppo impegno nel lavoro. Anche il marito fa parte di quella stessa classe sociale, insegna storia all’università, ma in lui vediamo soprattutto gli aspetti negativi di quella upper- class inglese, e francamente risulta un po’ antipatico.
Il caso che Fiona si trova ad affrontare è abbastanza classico: il rifiuto da parte di due genitori Testimoni di Geova di accettare una trasfusione di sangue senza la quale il figlio minorenne è destinato a morte certa. In questi casi la decisione è abbastanza scontata, ma qui è complicata dal fatto che al ragazzo mancano solo tre mesi alla maggiore età, è molto maturo e intelligente, ed è estremamente determinato a far valere i dettami della sua fede religiosa. La questione pone formidabili problemi giuridici e morali, e va riconosciuto a McEwan di affrontarli in modo eccellente. Ho appreso da una sua intervista che, da scrittore scrupoloso qual è, ha passato molto tempo a documentarsi, assistendo ad udienze nei tribunali e parlando con magistrati e avvocati. Normalmente questi problemi vengono trattati da giuristi – in modo noioso e cavilloso – o da filosofi politici – in modo molto difficile e astratto. McEwan riesce a parlarne in maniera chiara ma allo stesso tempo profonda e stimolante, mettendosi nei panni di un giudice di grande dottrina e sensibilità umana, che sente sulle proprie spalle tutto il peso di una decisione tremendamente difficile.
Come ho detto, la decisione di Fiona non è sorprendente in sé, benché molto sofferta, ma sorprendente è poi lo sviluppo della situazione, che non rivelo, ma che dimostra appunto la capacità di McEwan di avere una prospettiva non da giurista o filosofo, ma da artista che conosce e sa descrivere le complessità dell’animo umano.
A me piace molto McEwan, ma devo dire che nei suoi confronti, come pure per altri scrittori, c’è un certo atteggiamento snobistico di molti critici e lettori sofisticati che tende a sostenere che le sue cose migliori le ha scritte in gioventù. A me sembra vero che McEwan è ” nato grande ” e ha scritto libri di grande livello da subito, ma nella maturità ha scritto due romanzi bellissimi come Amsterdam e Espiazione. A questi è seguito un altro romanzo di ottimo livello come Sabato, e poi riconosco che, anche per un lettore suo fan come me, gli ultimi tre – Chesil Beach, Solar e Miele – non sono di uguale livello. E lo stesso vale, nella mia modesta opinione, per The Children Act. Però voglio dire due cose. Anzitutto, il fatto di aver scritto dei capolavori non può diventare una maledizione, e non è sempre possibile migliorarsi in eterno; se certi romanzi sono un po’ meno belli dei precedenti, restano sempre di gran lunga migliori del 99,9% di quelli che ingombrano le librerie reali o virtuali. E poi aggiungo che se può essere vero che McEwan ha perso un poco della fantasia e della vena creativa che l’hanno sempre caratterizzato, nella maturità ha in compenso acquisito una padronanza della scrittura, del ritmo narrativo e in generale degli equilibri che è così difficile raggiungere in un romanzo, che leggerlo è sempre, almeno per me, un grande piacere. E a proposito di stile, spero che la traduzione gli renda merito. Per la verità, non si comincia bene. Perché non mantenere il titolo originale e intitolarlo invece La ballata di Adam Henry, titolo perlomeno ambiguo, anche se si riferisce a una cosa che nel libro c’è? Ma è vero che queste scelte le fanno gli editori e gli addetti al marketing, non i traduttori.
traddles
Ian McEwan “Miele”
“Mi chiamo Serena Frome (che fa rima con plume) e poco meno di quarant’anni fa mi mandarono in missione segreta per il British Security Service”. Si presenta così la protagonista dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, pubblicato nel 2012. Un racconto in prima persona che alterna le avventure di una giovane e bella spia dell’MI5 alle vicende dell’Inghilterra degli anni ’70. Sì, perché la trama di Miele è un intreccio di storie una dentro l’altra, che ricorda un po’ l’incastro delle matrioske.
Serena è la figlia di un pastore anglicano, appassionata di letteratura ma studentessa di matematica per seguire una presunta inclinazione che si rivela piuttosto infondata dopo i primi mesi di università. Da Cambridge ottiene una laurea con voti mediocri, qualche amicizia passeggera e una relazione che le cambierà la vita: Tony Canning, fascinoso professore di storia e 40 anni più grande di lei, diventa suo amante e insegnante privato di politica contemporanea. Durante un’indimenticabile estate trascorsa in una casa di campagna nel cuore del Sussex, la ragazza divora letture e assorbe una dopo l’altra le opinioni di Canning, che alla fine la raccomanda per un lavoro nei servizi segreti britannici. Il tutto poco prima di sparire per sempre dalla sua vita. Inizia così per Serena una fase completamente nuova, in cui si ritrova a indossare la divisa dell’MI5 (che per le donne consiste sostanzialmente in gonne cortissime) e svolgere mansioni per lo più inutili e noiose. Finché dai “piani alti” non arriva un incarico molto particolare: reclutare un giovane e promettente scrittore, Tom Haley, per renderlo un inconsapevole portatore dei valori anticomunisti dell’MI5. Quando però i due si innamorano, “Miele”, nome in codice della missione, rischia di saltare in aria, così come la carriera della giovane spia.
McEwan usa la sua solita maestria nel dipingere i personaggi, soprattutto femminili, partendo dai più piccoli dettagli del loro carattere. Questa volta però l’esperimento è meno riuscito del solito: a cavallo tra un romanzo di spionaggio, un trattato di politica anglosassone (interminabili alcune descrizioni dell’indottrinamento nell’MI5) e una storia d’amore, l’intreccio tra i vari strati di Miele risulta spesso difficile da seguire. E alla fine si ha la sensazione che l’autore non avesse ben chiaro quale fosse l’ultima matrioska da far trovare ai lettori.
Edgardo
Ian McEwan “Espiazione”
Mi è sembrato decisamente il più bel romanzo di McEwan che ho letto (superiore anche ai celebrati “Bambini nel tempo” e “Cani neri”).
È una storia molto densa, ambientata in Inghilterra a cavallo della seconda guerra mondiale, che sviluppa i temi del vero e dal falso, del senso di colpa, della irreparabilità di certi gesti, della, appunto, espiazione.
Detto così sembrerebbe un bel mattonazzo, invece Mc. domina magistralmente una fitta narrazione di circa quattrocento pagine, ricca di personaggi e fatti descritti con una prosa tesa, limpida e precisa (a me è venuto in mente un paragone nientemeno che con Jean Austen), capace di veri pezzi di bravura, come la descrizione delle “occhiatine” che da bambini Leon e Cecilia usavano scoccarsi a vicenda durante le occasioni ufficiali in cui era proibito ridere, o la descrizione di un ebbro e travolgente amplesso fra due dei protagonisti del libro.
E’ uno di quei bei romanzoni che allietano una vacanza sotto l’ombrellone e che ti lasciano sazio e appagato (ce ne vorrebbe almeno uno all’anno).
Poronga