Sebastiano Vassalli “Io, Partenope”

vassVassalli è morto da due mesi, questo libro esce postumo ma credo nella versione definitiva voluta dall’autore. Vassalli ha scritto diversi romanzi che a me sono piaciuti molto, sia pure intervallati con altri meno riusciti. Nell’insieme, a mio parere, è comunque il migliore scrittore della sua generazione. Mi spiace dover dire che Io, Partenope, è senz’altro il peggiore di tutti i suoi romanzi che conosco.

E’ la storia romanzata di una donna – realmente vissuta, ma poco nota – di umilissime origini vissuta fra ‘500 e ‘600. Dopo varie traversie e abusi subiti fin da piccola, diventa suora a Napoli e si trova a capo di una comunità di fedeli che la ammira per la sua interpretazione della fede in contrasto con la dottrina ufficiale. Come si può immaginare, attira le attenzioni dell’Inquisizione, viene torturata, non uccisa ma costretta all’abiura. Dopo anni di lavori umilianti, viene salvata da un alto prelato rimasto suo amico, e da lì in avanti la sua vita procede abbastanza tranquilla nella Roma papalina, dove la sua personalità, pur tenuta a freno, attira comunque interesse, tanto da farla diventare amica e confidente del Bernini, che addirittura la raffigura in una famosa statua.

Questa la trama in due parole. Più in profondità, mi sembra che Vassalli ci voglia parlare di tre temi fondamentali: Napoli, Roma ( o, insieme, l’Italia ) e la religione. Su Napoli e Roma, il quadro che ci presenta non mi è sembrato affatto interessante; anzi, è un insieme di banali stereotipi – spesso veri ma sempre stereotipi e dunque non aggiungono nulla di nuovo. La sensazione, a volte sgradevole, è che Vassalli ci strizzi l’occhio intendendo: vedete, era già così 400 anni fa, non è cambiato niente. Che, ripeto, sarà pur vero, ma se si basa su triti stereotipi non è un contributo utile.

L’analisi sulla religione è altrettanto poco interessante. Vassalli vuole mettere in luce la sessuofobia e la misoginia della Chiesa, e non è una novità, ma la protagonista non ha la statura di una ribelle che potrebbe attuare una vera riforma: sembra più una praticona delle tante sette che vogliono predicare un rapporto più diretto con Dio e che la Chiesa, da duemila anni, di volta in volta scomunica o ingloba, in base alle convenienze e ai rapporti di forza ( per dirla chiara, a me ha ricordato la vicenda di Padre Pio ). E anche il tentativo di Vassalli di farne una eroina femminista, in una Chiesa dominata dagli uomini che riserva alle donne ruoli positivi minori o ruoli importanti solo come strumento del demonio, francamente non mi è sembrato né riuscito néoriginale. Anche perché il tutto è condito da molte pagine, piuttosto noiose, a metà fra il catechismo e la predicazione.

Non so di cosa è morto Vassalli, ma l’unica giustificazione che trovo è che la malattia lo avesse indebolito e reso poco lucido. Anche la sua scrittura, che ho sempre apprezzato anche nei romanzi meno felici, qui mi è sembrata fiacca. E faccio un solo esempio, che mi sembra significativo: suor Partenope, che narra in prima persona, parla spesso di ” modernità ” ( collegandola al concetto, credo un’invenzione di Vassalli, di ” puttanesimo “: ” Come si può capire il mio secolo, il Seicento, se non si capisce la modernità? E come si può capire la modernità se non si capisce il puttanesimo? “). E’ ben noto che sia il termine che il concetto di modernità appaiono solo a fine ‘800, un Vassalli lucido non avrebbe mai commesso questo errore.

Insomma, mi fa molta tristezza che Vassalli ci lasci come sua ultima opera un lavoro così mal riuscito. Per rinfrescare il suo ricordo, credo che andrò presto a rileggermi almeno uno dei suoi romanzi migliori, forse proprio La chimera che si svolge negli stessi anni e ha pure per protagonista una donna, e una storia per certi aspetti simile, ma di ben altra qualità. Di Io, Partenope, non posso proprio dire nulla di buono: amicus Plato

Tiresia

Pubblicità

Sebastiano Vassalli “Terre selvagge”

vassalli” … e discendiamo dagli antichi Romani ” cantava con graffiante ironia Bennato ormai 40 anni fa, irridendo una retorica che risaliva ad altri 40 anni prima. Bisogna però andare indietro di altri 20 secoli per arrivare al 101 a.c. quando, nell’attuale Piemonte, venne combattuta una importantissima e sanguinosissima battaglia che, se fosse andata diversamente, avrebbe potuto fare di noi dei discendenti, invece che dei Romani, degli antichi Germani ( non è poi detto che sarebbe stato peggio ). Invece, dopo aver subìto diverse sconfitte ed essere stati vicini alla rovina, la battaglia finale la vinsero i Romani, e i Cimbri – provenienti dall’attuale Danimarca – furono totalmente annientati. Centocinquantamila persone spazzate via in un colpo solo, non soltanto guerrieri, perché era un intero popolo che aveva attraversato le Alpi per insediarsi in Italia e conquistare la stessa Roma.

Continua a leggere