Kent Haruf “Crepuscolo”

haricona-voto-asino2icona-voto-asinoicona-voto-asino2Seconda puntata della trilogia che ha inizio con “Canto della pianura”, già commentato. Tornano i fratelli McPheron e Victoria e, come comprimari, Guthrie e Maggie Jones, a cui si aggiungono altri personaggi, fra i quali spicca Rose Tyler, solerte ed empatica assistente sociale, che prende il posto di Maggie nel ruolo di eroina.

La ricetta è la stessa del “Canto”; medesima ambientazione nel profondo e gelido nord rurale americano e rappresentazione di una vita dura e spesso marcata da disagi e dolori, che frequentemente si riverberano su bambini e adolescenti (due vivono in una roulotte scalcagnata con genitori inadeguati e zio violento; altri due con una madre alla deriva; uno con il burbero nonno di cui deve prendersi cura). Ma esistono squarci di umanità e gentilezza che ridanno al vivere senso, dignità e speranza. Continua a leggere

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Kent Haruf “Canto della pianura”

haicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoIn una immaginaria cittadina del Colorado fredda, ventosa e inospitale si svolge, credo negli anni ’80 (l’unico riferimento temporale che ho trovato è a Nancy Reagan) la storia dei protagonisti di questo bel libro: Guthrie, integro professore di liceo e vaccaro nel tempo libero, i giovanissimi figli Ike e Bobby che vivono segnati dalla assenza di una mamma depressa e un po’ lasciati a sè stessi anche se il padre fa del suo meglio, Victoria Roubideax, diciassettenne incinta, e infine i fratelli McPheron, rimasti presto orfani e che nella loro vita non hanno visto praticamente altro che vacche, cavalli e campi da coltivare (“Quando furono in casa, le facce dei fratelli Mc Pheron divennero lucide e rosse come barbabietole e la cima delle loro teste si mise a fumare nella stanza fredda. Sembravano usciti da un vecchio quadro raffigurante contadini e braccianti che riposano dopo il lavoro”). Continua a leggere

Kent Haruf “Le nostre anime di notte”

ha.pngDopo aver letto Benedizione, non ho comprato gli altri due libri della trilogia di Holt, perché il tono elegiaco, il ritmo lento di una narrazione in sordina che invita a guardarsi intorno senza fretta e ascoltare senza impazienza, mi aveva un po’ irritato. Insomma, pur riconoscendo i pregi del libro, mi era parso che Haruf fosse un autore che non faceva per me.

Poi, però, è uscito Le nostre anime di notte e la storia mi ha incuriosito spingendomi a tornare sulla mia decisione di lasciare Haruf ad altri lettori meno irrequieti, più tolleranti.

E ho fatto bene.
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Kent Haruf “Benedizione”

ke.pngKent Haruf è uno di quei rari narratori, come altri americani, tipo Mc Carthy o la Strout, che sanno abbinare la profondità della descrizione dei sentimenti alla essenzialità, alla concretezza e alla precisione assoluta del linguaggio. A quest’ultima caratteristica contribuisce ovviamente l’opera del traduttore, in questo caso Fabio Cremonesi, che scrive in una nota al libro: “Ci sono libri che fanno entrare nel nostro campo visivo cose che prima non c’erano e altri libri, più rari, meno appariscenti, che ci fanno vedere cose che avevamo già sotto gli occhi senza saperlo. Benedizione è uno di questi ultimi…”  Il romanzo si svolge a Holt, piccola cittadina nei pressi di Denver, dove tutti si conoscono da sempre. Il protagonista è Dad, un vero americano tutto d’un pezzo, che si è fatto da solo, lavorando duramente, arrivando a coronare il suo sogno di avere un suo negozio di ferramenta sulla Main Stret, negozio sempre aperto salvo il giorno di Natale. Dad è malato, gli resta poco da vivere, si sta abituando all’idea della morte come un fatto naturale, dialoga con  la moglie Mary che amorevolmente lo assiste, con la figlia Lorraine che lo raggiunge per gli ultimi giorni, e ripercorre, con la mente e nei sogni, alcuni episodi della sua lunga e operosa vita. Attorno a Dad si muovono, quasi  in punta  di piedi, altri personaggi che più americani non si può, ognuno con le proprie vicende presenti e passate, con la propria umanità, che Haruf dipinge magistralmente con poche precise pennellate tracciate  con sicurezza e disarmante semplicità. Certo, in alcuni passaggi bisogna armarsi di fazzoletti, mi tornano in mente, a parti invertite, le scene del film Amour, dove era l’uomo (J.L. Trintignant), ad assistere la moglie morente.

A proposito delle cose che abbiamo sempre saputo ma raramente abbiamo visto così chiaramente, voglio ricordare l’incontro di Dad ormai morente con la figlia Lorraine. Alcune ore prima, Dad aveva toccato, in presenza di Lorraine,  il viso  di Alice, una bambina di 9 anni… Più tardi Lorraine si siede accanto al padre e i due si parlano

Ciao papà, disse.

Sì. Ciao. Parlava con la voce molto bassa e lenta.

Papà, a cosa pensavi mentre toccavi la faccia di Alice?

E’ successo stamattina.

Sì.

Volevo solo toccare ancora una volta il viso morbido di una bambina.

Quando ero piccola, toccavi in quel modo anche il mio?

Lui la fissò a lungo. Non penso.

Perché no?

Avevo troppo da fare. Non ero attento.

No, disse lei. Non lo eri. Si portò alla guancia la mano di lui.

Perdonami, sussurrò lui. Ho sbagliato un sacco di cose. Puoi perdonarmi per questo?

Sì papà.

Sarà perché ho quasi l’età di Dad, sarà perché ho sempre “avuto troppo da fare”, ma questo dialogo mi è parso di una realtà e di una tenerezza incredibili, da solo vale la lettura delle 270 pagine del libro. Peraltro ci sono molte altre pagine di grande pregio, tanto che “Benedizione” per me è uno di quei  libri da cui non ci si stacca, anche se la fine la si conosce già dalla prima pagina.

Ho un certo timore a leggere gli altri libri della Trilogia, spero solo che non si tratti di una forzatura commerciale come a volte accade.

Silver 3

Libri d’estate

estateCome dice il nostro Poronga, non si può leggere una storia che non ci ha conquistato. È nostro diritto di lettori ribellarci alla schiavitù del libro-padrone: solo perché ha ottenuto un posto sul nostro comodino (o forse di questa stagione dovrei dire ‘accanto alla nostra sedia sdraio’), ciò non significa che possa mantenerlo immeritatamente.

E così… una sfilza di libri cominciati e abbandonati dopo un assaggio fuggente.

Tra questi, La sposa giovane di Baricco, che stupisce con una decina di pagine che ricordano Tomasi di Lampedusa e una lingua ricca e densa, e presto scadono in una parodia moderna e mediocre di quelle atmosfere. La delusione è stata sufficiente per sentirmi defraudata, tradita dallo scrittore serpente e non saprò mai come va a finire la storia.

Lo stesso vale per Le correzioni di Franzen, che dopo una cinquantina di pagine (lette d’un fiato) mi è parso l’ennesimo romanzo americano all’americana: nessuna originalità nella storia, niente di niente che possa incuriosirmi nella scrittura. Non ne ho più voglia.

Ma ci sono, per fortuna, anche i libri che ti fanno venire una voglia matta di cantarne le lodi.

Primo fra tutti Presenze animali di James Hillman: un saggio che sprizza scintille, un forziere di intuizioni geniali e di empatia emotiva. Chi ama gli animali (Traddles, ci sei?) non se lo perda.

E l’ennesimo Stefansson. Lo so che si è già parlato e riparlato di lui, ma che ci posso fare se è uno scrittore che mi incanta, mi suggestiona, mi strazia e mi fa sorridere come mai mi è successo? Ha la forza narrativa tragica, e comica a volte, del più grande Dickens e la condensata potenza e la liricità di Leopardi: meraviglioso. La tristezza degli angeli andrebbe letto anche solo per non perdersi la grazia candida e dolcissima con cui ‘il ragazzo’ scopre la sensualità, e per scoprire con quale intensità un uomo che si mette a fare un pupazzo di neve possa esprimere la muta tragicità dei sentimenti che ci legano alla vita e ci accompagnano nel momento in cui decidiamo di arrenderci alla morte.

E poi la Munro, quella di Troppa felicità: appena cominciata, ma mi ha fulminato con il primo racconto. Spaventosa la storia di Doree, di una drammaticità quasi senza pari, viene narrata con una asciuttezza scarna che la fa assurgere a metafora del vivere umano e del dolore che non si può ingoiare, che ti rimane in bocca come un grumo di piombo e sangue indigesto e venefico. E che solo il sangue può sciogliere.

In mezzo a tutto questo ci sta Kent Haruf, Benedizione. Haruf scrive bene, almeno: bellissima la scena di tre donne e una bambina che la torrida estate di un’infuocata prateria americana spinge a bagnarsi nude in una cisterna scoprendo così l’intimità attraverso quella comunione dei corpi, tanto diversi, uno color del miele e prospero tanto quanto l’altro è piatto e acerbo, o ancora segnato dalle rughe e dalla pelle vizza, ma tutti espressione di una medesima femminilità e umanità.

Ma a conti fatti sono rimasta delusa. Non manca una certa serena dolcezza, è vero, nella pacata accettazione con cui viene rappresentato il morire, quel momento che arriva per tutti, accanto al letto di un padre morente prima, oppure distesi su quello stesso letto noi stessi quando sarà il nostro turno di affrontare la malattia, la decrepitezza, la fine.

Però, a me è parso, manca la nuda, scabra manata che sempre, in fondo, accompagna la morte. E senza, è come un libro a metà.

la signora nilsson