Sto leggendo Musica distante, uno dei più bei libri sui libri che mi sia capitato di avere tra le mani da anni. Emanuele Trevi vi parla di letteratura secondo un criterio quanto meno originale, vale a dire accostandola alle virtù cardinali e teleologali. E così, arrivata al capitolo dedicato alla Speranza (sottotitolo: Viaggi per mare e per terra), ecco che Trevi comincia a parlare di un libro che non conosco, Le Grand Meaulnes, e mi fa incuriosire.
Il grande amico Meaulnes è l’unico romanzo scritto da Alain Fournier, scomparso a soli ventotto anni durante una ricognizione, gridando «Vive la France!», diranno i soldati del giovane tenente, a pochi giorni dallo scoppio della prima guerra mondiale. Un libro sui ricordi e la struggente dolcezza di un tempo che non tornerà mai più.
Il narratore, bambino, vive con la famiglia in «una lunga casa rossa, all’estremità del paese, con cinque porte a vetri e rampicanti di vite vergine; un cortile smisurato, con portico e lavanderia, che apriva verso il villaggio un grande portone; a nord un cancelletto sulla strada per la stazione distante tre chilometri; a sud, e dietro, i campi, giardini, prati, che arrivano a toccare i sobborghi: ecco l’aspetto sommario di quella casa dove passai gli anni più tormentosi e dolci della mia vita – dalla quale si gonfiarono, per poi ritornare a spezzarsi come onde su uno scoglio solitario, le nostre avventure.» L’edificio è la sede «del “Corso Superiore” di Sant’Agata. Mio padre, che io chiamavo “signor Seurel”, come tutti gli altri allievi, dirigeva il Corso Superiore, per il diploma di maestro, quanto il Corso Medio. Mia madre insegnava nelle classe elementari.»
È questo il mondo semplice travolto dall’arrivo a convitto di un nuovo ragazzo, inquieto, spesso taciturno, ma anche vivace, energico, più grande degli altri, che preferisce ai tranquilli confini della vita di scuola, le acque perigliose di un’immaginazione fervida e solitaria. Le fantasie di avventure impossibili e squisite fanciulle da amare con cuore dolente porteranno “il grande Meaulnes” alla scoperta del domaine mysterieux e della dolce e triste Yvonne, spingendolo infine tra le braccia di un destino vagabondo e malinconico.
Ma la magia del libro, il suo fascino lieve, sta nell’impazienza febbrile delle notti trascorse insieme al narratore nel buio del granaio dell’edificio scolastico: nella prefigurazione della fuga per il pays sans nom di Yvonne spinto da uno slancio vorace e implacabile, il sentimento, come dice Trevi, della «speranza». La speranza in un mondo in cui vive l’eterna avventura, ovvero le infinite possibilità di bellezza cui si apre l’adolescenza, quel mondo che oggi, quando ormai una strada per la nostra esistenza l’abbiamo scelta, ci fa amare tanto, e con tanto struggimento, quell’età mitica della nostra esistenza. Un tempo in cui, ci ricorda Fournier, bastava sentire il rumore degli zoccoli di legno dei compagni che correvano nel cortile ghiacciato della scuola per provare un tuffo al cuore al pensiero della ricchezza della vita pronta a schiudersi a noi.
la signora nilsson