Di suo ho letto “Venere privata” e “Traditori di tutti”, che ho preferito e di cui quindi parlerò.
Il detective Duca Lamberti (e già a chiamare uno “Duca” ci vuole un bel coraggio) è alle prese con una storia di droga, lotta fra bande, omicidi, fra cui quello, che apre romanzo, commesso da un’angelica ragazza americana che uccide per vendetta una coppia di ignobili mascalzoni che … ecc. ecc.
In questa storia, popolata da soggetti cattivi, amorali, squallidi, si muove con virile disgusto e talora con sincera pietà il Duca.
Raccontando, Scerbanenco ha modo di esprimere tutto il suo sdegno civile, pur venato da un certo autoritarismo, unitamente a un cosmico pessimismo sull’uomo.
Si salva solo gente come il fedele e laconico Mascarini (poliziotto fedele ombra di Lamberti) e, ovviamente, il Duca, riuscito impasto di ben assortite componenti: cavalleresco, etico, ma anche cinico, caustico, tagliente; insomma un Marlowe italiano niente affatto deteriore.
Duca è anche un uomo capace di star fuori dagli schemi e di assumere senza batter ciglio la responsabilità dei propri gesti (maxime i tre anni di carcere e la radiazione da medico per una procurata eutanasia: e siamo nel 1966!).
Indubbiamente la letteratura di Scerbanenco è ispirata da sentimenti sbrigativi e reazionari, e lui non fa nulla per nascondere un vero disgusto per capelloni, prostitute e, soprattutto, quelli che chiama “pederasti” o” invertiti” (una sua fissazione).
Ma gli si perdona volentieri, perché in fondo tutto è molto onesto, sincero, pulito e, soprattutto, sorretto da una penna svelta ed energica (proprio come Duca Lamberti quando fa parlare i criminali, infallibilmente riuscendoci con le buone o, più spesso, con le cattive) e da un senso asciutto e cronometrico del ritmo narrativo.
Che io sappia l’unico narratore italiano “hard boiled” che sia veramente riuscito a essere tale.
Poronga