José Saramago “Tutti i nomi”

saramicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-asino2Il signor José ha da poco superato i 50 anni. Lavora quale “scritturale ausiliario” -una specie di ultima ruota del carro- presso la Conservatoria Generale dell’Anagrafe, un triste ufficio fuori dal mondo, ridicolmente gerarchizzato, “dove per tradizione si scrive ancora con il pennino da intingere nel calamaio” (la avversione di S. per la burocrazia ha qui modo di esprimersi appieno in una grottesca e serafica descrizione, che è forse la cosa migliore del libro, specie nella irresistibile resa del Gran Capo).

Il signor José  un uomo solo, umile e timoroso, anche se “non certo strisciante e servile”, e senza speranza nel futuro; “vuole e non vuole, desidera e teme ciò che desidera, tutta la sua vita è stata così”. Continua a leggere

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José Saramago “Le intermittenze della morte”

saramicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoIncipit: “Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, tra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato“.

Non si è un genio letterario per niente. Continua a leggere

José Saramago “Una terra chiamata Alentejo”

download (7).jpgicona-voto-asino2icona-voto-asino2icona-voto-mezzoasinoE’ la piccola saga di una umile famiglia, dall’omen nomen Mau-Tempo, che va dai primi decenni del ‘900 fino alla “Rivoluzione dei garofani”, narrata attraverso tre generazioni: Domingo, ciabattino, João, bracciante, Antonio, militare, e le loro donne; sullo sfondo la dittatura di Salazar.

È una storia di miseria, prevaricazioni e soprusi perpetrati da latifondisti cinici e affamatori, spalleggiati da Chiesa e potere.

Saramago si fa lirico cantore degli ultimi e dei loro tentativi di ribellione, soffocati nel sangue e nella povertà. Continua a leggere

Josè Saramago “L’uomo duplicato”

saram.pngQuesto libro, bellissimo, ha quasi del miracoloso perché è un concentrato di fantasia e vitalità che Saramago ha scritto alla bellezza di 88 anni.

Tertuliano Maximo Alfonso è un tranquillo professore di storia delle medie. È uno di quei non-eroi tipici di Saramago che vive seminascosto fra lezioni, pietanze in scatola riscaldate, un amore neghittoso, una certa indolente sonnolenza, ma che a un certo punto una vicenda pazzesca viene a stanare.

Su consiglio di un suo collega, cui ha confidato di attraversare un momento di semidepressione, noleggia un film (nulla di che), lo guarda, e se ne va a letto.

Tuttavia, nel cuore della notte, T.M.A. si risveglia, percepisce una presenza, e piano piano realizza che questa presenza è un personaggio del film, poco più che una comparsa, che gli somiglia come una goccia d’acqua.

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Josè Saramago “Storia dell’assedio di Lisbona”

sarRaimundo Silva è un oscuro revisore di bozze. Non correttore, ma revisore, posto che il suo compito è quello di individuare eventuali inesattezze o errori non tipografici nei quali sia incorso l’autore (bellissimo il primo capitolo, quasi un cantico all’opera del revisore, reso tramite un immaginario colloquio fra questi e un autore).

Per fare questo oscuro lavoro occorre una cultura enciclopedica, da vero topo di biblioteca. E in effetti tale è diventato l’ormai quasi cinquantenne Raimundo, che vive in una polverosa casa da scapolo zeppa di vecchi volumi, con una domestica a ore che pulisce sommariamente e che gli cucina sgraziati cibi che dovranno servire per i giorni a venire.

Ma un giorno la vita di Raimundo improvvisamente cambia; e cambia quando, volontariamente quanto irresponsabilmente, decide -chissà perché- di macchiarsi del più grave peccato che un revisore possa mai commettere, ossia interpolare nel testo al suo esame un “non“, tale per cui i crociati, al ritorno di una delle tante guerre sante, “non” aiutarono i portoghesi a riconquistare Lisbona, in mano agli arabi.

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Josè Saramago “La caverna”

saraCipriano Algor, 64 anni ben portati, fa il vasaio, come suo nonno e suo padre, dai quali ha ereditato la vecchia fornace di famiglia. Vi lavora insieme alla figlia Marta dopo che la amata moglie è morta mentre era al tornio.

Cipriano -questo è l’inizio del romanzo- viene colto mentre, a bordo del suo camioncino, porta un carico di stoviglie al Centro, sorta di Moloch nel quale si concentra il potere economico e sociale del luogo. Conta il numero di camion in fila per le consegne e si accorge di essere il tredicesimo. Cerca di scongiurare la cabala retrocedendo al quattordicesimo posto, ma inutilmente: l’addetto al ritiro della merce gli dice che il Centro non è più interessato ai suoi prodotti. Qui comincia la piccola odissea di Cipriano.

È una storia semplice, piccola (ma mica tanto) e che Saramago racconta da par suo.

C’è un nucleo, formato anche da Marçal, il pacato e valoroso marito di Marta, e dal cane Trovato, che cerca in qualche modo di reagire, di trovare una alternativa, e non è detto che non ci riesca, anche se chissà come andrà a finire. Ma l’importante, sembra suggerire Saramago, è provarci.

Ho trovato molto bello il personaggio di Marta, quieta, saggia e tagliente, e di Cipriano, singolare miscuglio di ostinatezza, orgoglio e pudore; bellissimi i dialoghi fra padre e figlia. Ma anche Marçal e il cane Trovato, personaggio anche lui a tutti gli effetti, sono riuscitissimi. S. inserisce anche una delle sue tipiche, e sotto sotto delicate, storie d’amore, in questo caso il faticoso sentimento che nasce, sotto l’occhio benevolo di Marta, fra Cipriano e la vedova Isaura Madruga.

Io proprio non so dove Saramago andasse a trovare quel perfetto equilibrio fra la sua prosa severa e asciutta e il clima così intimo e colloquiale che solo lui riusciva a creare.

Due citazioni fra le tante:

… in materie di cuore e sentimenti, è sempre stato meglio il troppo piuttosto che il poco”.

Non immaginavano, né l’uno né l’altro, che fosse proprio l’uniforme di guardiano del Centro che indossava Marçal Gacho il motivo della persistente tolleranza o della benevola indifferenza della polizia stradale, che non era il semplice risultato di molteplici casualità o di una ostinata fortuna, come probabilmente avrebbero risposto se li avessero interrogati sulla ragione per cui ritenevano di essersi risparmiati qualche multa. Se Marçal Gacho l’avesse saputa, forse avrebbe fatto valere con il suocero il peso dell’autorità che la divisa gli conferiva, se l’avesse saputa Cipriano Algor, forse avrebbe cominciato a rivolgersi al genero con meno ironica condiscendenza. È proprio vero che la gioventù non conosce ciò che può, e la vecchiaia non può ciò che conosce”.

Purtroppo i libri di Saramago li ho letti quasi tutti; vorrà dire che tutti li rileggerò.

Poronga

José Saramago “Alabarde alabarde”

alabardePiù che una recensione, questa è una segnalazione. Alabarde alabarde è l’ultimo teso scritto da Saramago, un romanzo incompiuto di cui ha fatto in tempo a scrivere i primi tre capitoli prima di morire. Vale la pena di leggerli, benché incompiuti? Secondo me, certamente sì. Vi troviamo abbozzata una storia decisamente interessante. Il protagonista lavora in una fabbrica di materiali bellici ed è un grande appassionato di armi e di film di guerra. In realtà è un modesto contabile, ma questa sua passione l’ha messo in conflitto con la moglie pacifista, che infatti lo ha lasciato. Viene a sapere, da un film tratto da un libro di Malraux, di episodi di boicottaggio da parte di operai dell’industria bellica negli anni Trenta, si appassiona alla questione e cerca di approfondirla, vedendovi anche l’occasione di riconquistare la stima della moglie. Come sempre in Saramago la letteratura è un veicolo per discutere di grandi problemi morali. In soli tre capitoli la trama e i personaggi possono essere soltanto abbozzati, ma il motivo per cui vi suggerisco di leggere questo libro è che potrete gustare per l’ultima volta la scrittura personalissima e inimitabile dell’autore. E ci sono buoni motivi per pensare che anche questo sarebbe stato un bellissimo romanzo.

Saramago è morto nel 2010, a 87 anni. Dopo gli 80 anni ha scritto L’uomo duplicato, Saggio sulla lucidità, Le intermittenze della morte, Le piccole memorie, Il viaggio dell’elefante, Caino, Lucernario. Senza contare un testo teatrale, Don Giovanni, e varie raccolte di saggi. E’ molto, molto di più di quanto la grandissima maggioranza degli scrittori riesce a scrivere in una vita intera. Fra i 70 e gli 80 anni aveva scritto, fra le altre cose, tre capolavori come Cecità, Tutti i nomi e La caverna. E’ per questo che secondo me vale la pena di leggere ogni sua riga, anche quelle scritte in punto di morte, perché non aveva perso nulla della sua forza e del suo talento.

 Non sappiamo come sarebbe continuata la storia. Sappiamo però che il contabile si sarebbe fatto ” comprare ” dai suoi superiori con una promozione. E sappiamo quale sarebbe stato il finale e in particolare l’ultima frase del libro perché Saramago l’aveva già deciso e l’aveva scritto nei suoi diari. “Il libro terminerà con un sonoro Vai a cagare proferito da lei. Una conclusione esemplare.” Coraggioso, inimitabile Saramago!

traddles

Josè Saramago “L’anno della morte di Ricardo Reis”

ricardSe vogliamo rimanere su Pessoa, cosa di cui sono ben contento, vi racconto del bellissimo  romanzo che Saramago gli ha dedicato.

1935: anno della morte di Fernando Pessoa, ma anche della salita al potere di Salazar in Portogallo, della guerra civile in Spagna, dei venti di guerra che spirano dalla Germania e dall’Italia.

Ciò fa da sfondo, ma ben presente, al “ritorno” di Ricardo Reis dal Brasile per ricongiungersi a Pessoa (nella realtà Reis è uno degli pseudonimi sotto i quali Pessoa ha scritto).

Il romanzo racconta dello spaesamento di Ricardo, del suo amore carnale per Lidia, del suo amore platonico per Marcenda, dei suoi incontri, sempre più straniati e perlopiù notturni con Pessoa, che danno luogo a dialoghi bellissimi; come bellissimo è lo svanire, piano piano, di Pessoa, che perde la capacità di scrivere, poi di  leggere, sbiadendo ogni volta di più ad ogni successivo colloquio.

Come tutti i romanzi di Saramago anche questo è colmo di bellezze: quelle che mi hanno colpito di più sono la figura di Lidia, umile popolana che però ogni tanto trafigge Reis con parole di una semplicità e verità disarmanti;  la descrizione del nascere, o meglio del rivelarsi, dell’amore fra lei e Ricardo, un cruciale dialogo fra i due e quello che succede dopo, Lidia che pulisce la casa che scintilla; e infine la guerra civile in Spagna vinta da Franco, l’umanità che si avvia verso la catastrofe del nazismo e della seconda guerra mondiale, Ricardo Reis e Fernando Pessoa che, insieme, se ne vanno.

Mo’ direte che sono fissato, ma il Nobel lo hanno dato a Saramago (dopo decenni di attesa) e a Pamuk confondendo così, come si sarebbe detto casa mia, zucchero e vetro pestato.

Poronga

Josè Saramago “Caino”

caino“La storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio, né lui capisce noi, né noi capiamo lui”.

Saramago, dopo aver rivisitato il Nuovo Testamento con “Il Vangelo secondo Gesu’”, con questo piccolo romanzo -l’ultimo prima della sua morte- si occupa dell’Antico, fondamentalmente per illustrare la insensata crudeltà di Dio:

“… Lucifero sapeva bene ciò che faceva quando si ribellò contro dio, c’è chi dice che lo abbia fatto per invidia ma non è vero, è che lui conosceva a fondo la natura maligna del soggetto”.

E a ben pensarci non è che S. abbia proprio tutti i torti, per esempio quando ci ripresenta la storia di Abramo e Isacco sotto una visuale diversa dalla cieca e sublime obbedienza a Dio, concludendo:

“La cosa logica, la cosa naturale, la cosa semplicemente umana sarebbe stata che abramo mandasse il signore a cagare, ma non è andata così”.

Anche Caino, naturalmente, è raccontato come vittima del Supremo, come del resto lo furono i suoi genitori.

S. si diverte a giocare con queste tesi, in un piccolo libro che se certamente non è all’altezza dei suoi capolavori, è comunque lieve e piacevole, e che solo un genio quale lui era poteva permettersi.

Poronga

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