Israel J. Singer “La famiglia Karnovski”

israelI Karnovski della Grande Polonia erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante“.

Così inizia questo romanzo diviso in tre parti, di cui sono protagonisti i maschi di tre generazioni, David, Georg e Jegor, e che parte dall’inizio del’900 per concludersi alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale.

All’interno vi sono gli ingredienti tipici della saga ebraica ortodossa: usi, costumi, regole, religione, studio, commercio, cucina kasher, mamme imparruccate onnipresenti e padri severi e richiedenti; e poi lo sforzo di imporsi e di integrarsi (ma fino a un certo punto) nel Paese di residenza, nel nostro caso la Germania, cui segue la pesante disillusione legata all’avvento del nazismo, visto all’inizio con incredula sorpresa, ma che poi induce quelli più lungimiranti e che  ne hanno i mezzi (fra cui i Karnovski), a mollare tutto per cercare riparo e fortuna altrove.

Il romanzo ha il pregio di una indubbia scorrevolezza e si fa leggere. Belle alcune scene di massa animate da una umanità brulicante e affaccendata.

S. tratteggia bene le figure dei tre protagonisti, cui si aggiungono anche quella del medico Landau (forse la meglio riuscita, ma anche la più facile) e del commerciante Salomon Burak.

Io ho inteso questo romanzo soprattutto con una celebrazione della indomita e quasi feroce vitalità del popolo ebraico, nonostante tutto e tutti (“Era già stato povero e ricco, era andato a piedi, aveva guidato auto costose, le aveva rivendute, ne aveva comprate altre e adesso guidava una vecchia bagnarola. Non era poi questa grande disgrazia, l’importante era essere vivi”).

Da notare però che questa forza si spezza con l’ultimo rampollo Karnovski, figlio di Georg e di una ragazza tedesca di pura razza ariana; un patetico, goffo e ottuso ragazzo, che perde totalmente la sua identità, rimanendone travolto.

Il dubbio che nel libro serpeggi una specie di razzismo di ritorno mi sembra quindi legittimo.

In ogni caso il libro, per quanto leggibilissimo, non è nulla di eccezionale; ben lontano da “La famiglia Moskat” del giustamente più celebrato fratello Isac Singer.

Poronga

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Israel Joshua Singer “Yoshe Kalb “

SingerI. J. Singer è il fratello, più anziano di una decina d’anni, del Nobel I. B. Singer, scrittore che a me piace moltissimo. Non che due fratelli non possano essere entrambi ottimi scrittori ( ce ne sono stati? a me non vengono in mente, ricordo invece sorelle, o fratello e sorella, o marito e moglie o padre e figlio ) ma per qualche ragione istintiva diffidavo della riscoperta dell’Adelphi, temendo che il fratello meno dotato navigasse sulle ali di quello più dotato. Poi, dopo aver sentito almeno 3 o 4 amici entusiasti, mi sono deciso. In realtà, questi amici avevano letto il primo libro apparso, La famiglia Karnowski, ma io ho preferito iniziare da questo che, pur uscito da noi per secondo, è stato scritto dieci anni prima ed è anche arricchito da una prefazione del Singer Nobel, che descrive i tormenti letterari e linguistici del fratello maggiore.

Confesso subito che il libro, pur interesssante sotto certi aspetti, non mi ha entusiasmato. Il personaggio che mi piaceva di più, una ragazza ribelle che non accetta tutti i fardelli della tradizione e della religione, viene fatta morire troppo presto. La sua morte serve a dare risalto al personaggio principale, che però a me è sembrato tutto sommato scialbo, pur nel tentativo di farne un eroe mitico, sul tipo dell’Ebreo Errante o del Pazzo di Dio. Più riuscito è invece il terzo protagonista, il vecchio rabbino, che esprime bene le caratteristiche del capo religioso e politico, che tesse i suoi intrighi per il bene della comunità, ma con un occhio di riguardo per il bene proprio.

Il libro a mio parere non decolla, pur avendo una storia potenzialmente interessante e dei personaggi che potrebbero esserlo ma sembrano invece un po’ fumettistici. Sono certo che lo stesso materiale, nelle mani del fratello, avrebbe dato ben altro risultato.

Non voglio però essere troppo critico, il romanzo è comunque di qualità, pur con le sue carenze, e c’è almeno un aspetto per cui lo promuovo decisamente, e che lo accomuna ai libri del fratello e della migliore letteratura yiddish: quando leggiamo un romanzo, uno degli aspetti più belli, almeno per me, è quello di scoprire luoghi e tempi diversi dal nostro. In genere, però, la sensazione è quella di affacciarsi ad una finestra che dà su quel mondo diverso, ed è già un notevole privilegio. Nel caso della letteratura yiddish invece, ed anche in Yoshe Kalb, quel mondo non lo vediamo da fuori, ma ci sentiamo trascinati dentro, ne sentiamo gli odori e i suoni, le atmosfere cupe delle sinagoghe e le tensioni dei tribunali rabbinici, i matrimoni sontuosi e le lamentele dei mendicanti. E veniamo coinvolti in quella che è la principale caratteristica della cultura, e quindi della letteratura ebraica: la discussione continua e permanente. I personaggi parlano, parlano sempre, spaccano il capello in quattro e, pur accettando per rispettare le forme l’autorità di chi sta più in alto, in realtà sottopongono ogni argomentazione al vaglio della critica più dura. E non solo parlano, anche scrivono usando un linguaggio ampolloso che nasconde però una logica implacabile. Sentite come un rabbino si rivolge ad un altro, e poi come umilia se stesso:

Grande luce, potente martello che riduce in sabbia interi macigni, Monte Sinai, unico della nostra generazione: felici noi, che abbiamo tanto splendore nella nostra epoca! Grandissimo tra i grandi, scaffale carico di libri, Rabbi di tutti i figli in esilio! Stritolatore di montagne rocciose, che la tua luce brilli in eterno … Da me, verme della terra, essere men che umano, più basso dei bassi, candela che si spegne alla luce della vostra torcia …

Poi naturalmente, espletate le formalità, comincia una battaglia senza esclusione di colpi. A me è piaciuto in particolare quel complimento, ” scaffale carico di libri ” ( forse non ho detto che siamo in un periodo imprecisato dell’Ottocento, non c’erano gli e-book )

Non so se mi verrà voglia di leggere La famiglia Karnowski, spero di sentire in merito il parere di qualche Asinista. Credo però che per me il Singer vero resterà sempre Isaac Bashevis.

Traddles