Oggi, secondo me, questa opera è la grande sottovalutata della tutto sommato non ricchissima letteratura italiana.
Sarà perché a scuola hanno fatto di tutto per rendercela invisa (ricordo ancora la orrida versione per scuole medie con sparuti brani intercalati dai riassuntini), ma ne sento spesso parlare almeno con sufficienza, se non con fastidio.
Io i “Promessi” li ho ripresi in mano, finalmente senza obbligo di lettura (chissà perché però sono invece molto grato a chi mi costrinse a imparare le poesie a memoria), alcuni anni fa, ed è stata una lettura bellissima, che prima o poi di sicuro ripeterò.
Non ho mai trovato chi scriva un italiano paragonabile, per eleganza, precisione e limpidezza, a Manzoni (ovvio che all’inizio si deve fare un po’ di fatica per familiarizzare con lo stile, ma poi è una goduria); il romanzo è ricchissimo (non a caso una serie di caratteri e situazioni sono entrate a far parte della nostra cultura collettiva, e forse questo lo danneggia perché lo si dà per scontato e ritrito; cerco di immaginare che bello sarebbe leggerlo senza saperne niente di niente); Renzo è uno dei più bei personaggi che ho mai incontrato in tutta la mia vita di lettore.
Poi è vero che Manzoni è un irritante baciapile; ma, di fronte a un’opera così bella, glielo si perdona dieci volte, così come si perdona la melassa di Dickens, la trombonaggine di Hugo o la visione ombelicale di Proust.
Poronga