Io per Calvino ho una predilezione, e non esito a definirlo come il di gran lunga più grande scrittore italiano del dopoguerra, che un premio Nobel lo avrebbe strameritato.
Come tutti i grandi scrittori ha un mondo e uno stile tutto suo, al punto che, come succede con gente come Marquez, Saramago, Gadda, basta leggere poche righe per dire “è lui”.
Calvino non è semplicemente un ineffabile mago, illusionista, lunare giocoliere delle parole, ma è innanzitutto un uomo di grandissima curiosità, cultura e duttilità intellettuale, che però la sua sublime ironia e delicatezza tiene ben alla larga da ogni forma di professorale supponenza, al punto di essere capace di scrivere un bellissimo racconto (“La Poubelle agree”) che, a partire dalla quotidiana operazione di svuotamento della spazzatura -una delle pochissime incombenze domestiche ritenuto in grado di espletare- abbraccia vari argomenti, indifferentemente piccoli e quotidiani o filosofico-esistenziali.
Calvino e uno scrittore poliedrico ed elegantissimo, ma per nulla affettato, che ha affrontato temi fantastici (“Le città invisibili”), anche se spesso partendo da una solida base scientifica (le splendide “Cosmicomiche” o “Ti con zero”), rivelandosi anche un acuto osservatore della natura (“Palomar”).
Ma è stato al contempo capace di scrivere cose di grande impegno, oltreché -si intende- assai belle, come il coraggiosissimo “I sentieri dei nidi di ragno” (il più bel libro sulla Resistenza che ho letto), o “La giornata dello scrutatore” o i racconti de “L’entrata in guerra”.
Certo, era uno scrittore capace di geniali virtuosismi, come in “Se la notte d’inverno un viaggiatore”, romanzo che per un accidente o per l’altro non riesce mai a partire, e nel quale C. si diverte, ma con quella amabilità giocosa tutta sua, a fare vedere quanto è bravo, cambiando rapidamente genere ad ogni nuovo attacco: giallo, spionistico, alla maniera dei romanzieri russi ottocenteschi, “noir” ecc., fino al colpo di scena finale, che mi fa invidiare coloro che questo libro ancora non lo hanno letto e che possono quindi goderselo appieno.
E dimostra tutta la grandissima ispirazione che ci voleva per scrivere cose del genere l’unica sua prova secondo me fallita, vale a dire “Il castello dei destini incrociati” in cui il suo grande talento, fantasia, e virtuosismo letterario rimane un po’ al palo, fine a se stesso.
Non è affatto vero, come dicono i suoi detrattori trombonazzi, completamente equivocandolo, che sia stato uno scrittore vuoto o fatuo.
Come dice nello splendido saggio sulla “Leggerezza” (facente parte delle “Lezioni Americane”, dalle quali ben si intende lo straordinario bagaglio culturale che prima di ogni cosa Calvino aveva come base del suo lavoro), citando “Paul Valéry”, “Bisogna essere leggeri come l’uccello, e non come la piuma”.
E questo è quanto Calvino ha esattamente fatto volando, quando scriveva; e vivendo, e permettendoci di vivere, “la letteratura come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere”, facendo sì che la melanconia fosse “la tristezza diventata leggerezza” e lo humour “il comico che ha perso la pesantezza corporea“.
Poronga
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