Rosa Montero “La buona fortuna”

Pablo Hernando, archistar di fama internazionale, improvvisamente scende dal treno su cui sta viaggiando e di punto in bianco, senza quasi guardarlo, acquista nel giro di poche ore uno squallidissimo appartamento nell’ancora più squallido paese dove si trova.

Continua a leggere

Pubblicità

Rosa Montero “La pazza di casa”

mon.pngLa pazza di casa è la fantasia che alberga in ciascuno di noi ma in particolare, pare suggerire la Montero, nella mente degli scrittori.
M. parla del suo lavoro senza prosopopea (“Dico sempre che essere romanziere è come fare lo spaccapietre: è un lavoro duro che richiede una infinita’ di tempo“), e lo fa bene, mischiando le osservazioni sue e di altri scrittori con frammenti autobiografici, fra i quali tre divertenti versioni di un suo  incontro galante con un famoso attore.
L’incipit è tutto un programma (“Ho preso l’abitudine di riordinare i ricordi della mia vita facendo il conto dei fidanzati e dei libri“), al pari della dedica: “A Martina che è e non è. E che, non essendo, mi ha insegnato molto“.
M. è una donna colta, vivace, simpatica, semplice e arguta al contempo, che racconta il mestiere dello scrivere, il processo creativo (dove a suo avviso importanza determinante ha l’inconscio), addentrandosi felicemente anche in spinosi e triti argomenti quali il ruolo della letteratura: “Per me il famoso impegno dello scrittore non consiste nel mettere le proprie opere al servizio di una causa (l’utilitarismo dei pamphlet è il maggiore tradimento del mestiere; la letteratura è un cammino di conoscenza che dobbiamo imboccare carichi di domande, non di risposte), ma nel mettersi allerta contro il luogo comune generale, contro i propri pregiudizi, contro tutte le idee ereditate e mai contrastate che s’insinuano subdolamente nella nostra testa, velenose come il cianuro, inerti come il piombo…”.
Non risparmia legnate ai critici (“Un classico esempio di critico potente,spocchioso, miserabile e cretino è il francese Saint-Beuve…”), fa professione di femminismo acuto e lieve (“Quando una donna scrive un romanzo che ha per protagonista una donna, tutti ritengono che stia parlando di donne; mentre quando un uomo scrive un romanzo che ha per protagonista un uomo, tutti ritengono che stia parlando del genere umano“), affrontando anche il tema della esistenza o meno di una letteratura femminile in un capitolo, il tredicesimo, che manderebbe in sollucchero la signora nilsson.
Lontana da ogni spocchioso elitarismo, attribuisce molta più importanza al leggere che allo scrivere: “Come si fa a vivere senza letteratura? Smettere di scrivere può essere la pazzia, il caos, la sofferenza; ma smettere di leggere è la morte istantanea“; “La vita di un lettore è molto più lunga di quella di altre persone, perché lui non muore finché non ha finito il libro che sta leggendo”; donde la conclusioneAnche la morte è una lettrice, perciò consiglio sempre di andare in giro con un libro in mano, così quando arriva la morte vede il libro e allunga il collo per vedere che cosa leggi, come faccio io sull’autobus, e si distrae“.
Non mancano felici osservazioni di carattere non strettamente letterario: “Diffido dei puri: mi terrorizzano. Dalla purezza fittizia nascono il linciaggio, le perquisizioni, i fantasmi. Non si può essere puri e umani“.
Valgono da sole tutto il libro le bellissime pagine finali che nascono dal ricordo di un giovane Italo Calvino in viaggio in nave verso gli Stati Uniti e che, assieme agli altrettanto giovani Hugo Claus e Gunter Grass, vede passare il primo Sputnik….
Poronga