Ora io dico: chi scrive lunghi libri richiede parecchio al lettore, soprattutto in termini di tempo il che, con tutto quello di bello che vi è da leggere (ho sempre il cruccio dei libri belli o bellissimi che non leggerò), non è poco.
Quindi un libro che supera le 300/400 pagine non deve essere solo discreto, ma francamente buono.
Questo poliziesco è lungo quasi 700 pagine, e per giustificarsi e motivare il lettore dovrebbe avere ritmo, essere avvincente e ben scritto.
Non è che sia un brutto libro, ma queste doti mi pare possegga in misura insufficiente, essendomi sembrato un po’ lento e prolisso (per esempio i dialoghi sono troppo dilatati), mentre il plot non fa certo saltare sulla sedia.
Quindi la storia del commissario Michele Balestrieri, che viene rappresentato dapprima come fascista sciupafemmine non privo però di una sua integrità, e quasi 25 anni dopo depresso, amareggiato e un po’ in disarmo, ma saggio, (forse –speriamolo- ha anche cambiato idee politiche) mi ha provocato un progressivo accumulo di quello che chiamerei “l’acido lattico del lettore” sicché, giunto quasi la metà, ho lasciato perdere.
Spesso sento dire: “una volta incominciato un libro lo devo finire“. Grave errore. Giustamente Pennac indica quali fondamentali diritti del lettore quello di abbandonare un libro che non piace o di saltarne delle parti. Penso che quanto più si legge tanto più questi diritti vengano agevolmente esercitati, con sicuro giovamento dell’interessato.
Poronga