Eshkol Nevo “Tre piani”

ne.pngNevo è forse il più interessante nella generazione dei quarantenni in quella incredibile fucina di scrittori che è Israele. In questo nuovo libro raggiunge livelli di maturità e di profondità decisamente superiori rispetto ai pur già notevoli libri precedenti. Soprattutto, si candida ad essere in senso pieno uno scrittore civile, cioè uno di quegli scrittori che non si limitano a raccontare storie interessanti e a scrivere bene, ma che scavano nell’animo della civiltà contemporanea e, anche con spietatezza, ne mettono in luce i problemi morali.

L’azione si svolge in un condominio di un sobborgo borghese di Tel Aviv, e i protagonisti, solo marginalmente legati fra loro, abitano tre piani diversi. Si intuisce da subito, e viene esplicitato verso la fine, che i tre piani rappresentano la tripartizione freudiana di Es Io e Super-Io. La cosa viene accentuata dal fatto che le tre parti del libro – che potrebbero anche reggersi ciascuna da sola – sono dei lunghi monologhi dei tre protagonisti.

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Eschkol Nevo “La simmetria dei desideri”

nevo.pngDurante la finale dei mondiali di calcio del 1998, quattro amici, per gioco ma non troppo, scrivono su quattro bigliettini i desideri che vorrebbero si realizzassero. Poi chiudono tutto in una busta sigillata che potrà essere aperta solo durante la finale dei successivi campionati mondiali.

Fin dalle prime battute è già esplicito il tema del desiderio di cambiamento attorno a cui si sviluppa tutto il racconto. Il desiderio, il sogno, hanno a che fare con il futuro, o meglio con la speranza di un futuro.

La Simmetria dei desideri è un romanzo a più voci. Yuval, il narratore, ha un animo buono, comprensivo, ma è immobilizzato dall’incapacità di fare scelte nette nella sua vita; Churchill è l’istrionico e affascinante narcisista che fa girar la testa a tutte le donne che incontra, nonché la forza trascinante che al liceo li ha uniti in una profonda amicizia. Ofir ha offerto la sua capacità creativa di giocare con le parole a un’agenzia di pubblicità dove si annoia a morte, e Amichai, che ha messo su famiglia presto, vende polizze mediche e si dedica con amore a moglie e figli. Eshkcol Nevo delinea i 4 caratteri con la consueta chiarezza e abilità.  Non tutti crescono con lo stesso ritmo, non sempre le emozioni e il sentire è lo stesso. Ognuno cerca la propria strada, tra istinti di fuga e desiderio di realizzare i propri sogni in patria, in Israele.

Il racconto è intervallato da estratti della tesi di filosofia di Yuval sui “filosofi che hanno cambiato idea” rimarcando così la domanda del racconto: è possibile cambiare? E cosa succede quando le persone cambiano? Non è importantissimo continuare a desiderare il cambiamento anche se non ci è dato di sapere se avverrà? Israele può cambiare? Deve cambiare?

In una notte, durante gli anni del militare, nei pressi di Nablus, Yuval si era detto:

“Non capisco cosa ci sto a fare qui. Non capisco chi è contro chi. Non capisco piú cosa significa la parola «io». Non capisco cosa mi distingue da una bestia. Non capisco come sono arrivato a questo punto. Non capisco perché mi sono intestardito a nascondere la mia asma per farmi prendere in un’unità combattente…Non capisco perché adesso sono stanco morto ma non riesco a dormire. Non capisco perché vorrei gridare ma la voce non mi esce. Non capisco cosa c’è da capire. Non capisco perché non vengono a darci il cambio. Non capisco perché non me ne importa, che non vengano a darci il cambio. Non capisco niente.”

Sono i tempi della seconda intifada e il rapporto tra i quattro ragazzi, così profondo da poter passare sopra ai tradimenti più gravi, ci dice che accettare il cambiamento significa anche accettarne i rischi e gestirli. Come? Attraverso, in questo caso, una salda amicizia, quel sentimento che agisce da collante in grado di unire reciprocamente caratteri molto diversi e anche opposti, forse perché e un sentimento “simmetrico” dove le persone coinvolte investono una potente carica di energia.

“Ma questa è proprio la definizione dell’amicizia, no? Un’oasi che ci permette di dimenticare il deserto… o… una zattera le cui assi si tengono unite. O… un piccolo staterello circondato dai nemici. Non credi?”

I personaggi si ascoltano a vicenda e Nevo dà voce a tutti, quando sono uniti e quando gli eventi o le donne li dividono. Di nuovo, una piacevole lettura, sincera e piena di speranza.

Ayelet

Eshkol Nevo “Soli e perduti”

nevoIl raro fenomeno chiamato “Assoli perduti”, “Lost solos”, ci informa l’autore, si riferisce a uccelli solitari che appaiono inaspettatamente lontano dalla loro abituale rotta migratoria, lontano dal loro stormo, in una parte del mondo in cui non dovrebbero stare. Come se nel loro orientamento si fosse danneggiato qualcosa.

E di uomini e donne “danneggiati”, e appunto soli e perduti, narra con ritmo brillante questo libro intelligente e godibilissimo, di grande ironia e comicità nella migliore tradizione Yiddish, che neppure risparmia critiche acute ai paradossi della vita reale in Israele.

Come anime vaganti in fuga dalla solitudine e in cerca di una senso di appartenenza, di uno stormo di cui far parte, i personaggi di “Soli e perduti” convergono, per i motivi più disparati, in una comunità di ortodossi, in una non ben identificata Città dei Giusti, in Israele. Li dividerà e li unirà la costruzione di un nuovo mikveh, un bagno rituale, collocato in un’area dove nessuno vuole andare e per questo denominata Siberia. Il bagno diventa il centro di incontri ed eventi inaspettati e di una miracolosa carica erotica che investirà chiunque si immerga nelle sue acque.

Perché la tesi del libro è proprio questa: affermare il primato assoluto del desiderio e dell’amore in qualsiasi circostanza della vita, l’amore come soluzione, come è giusto che sia, come supremo sentimento di riconciliazione e catarsi.

Considerato il capofila dei nuovi scrittori israeliani, Eschol Nevo, che non conoscevo e di cui mi tufferò a leggere i libri già pubblicati che gli hanno valso il premio della Book Publishers’ Association e del FFI- Raymond Waller Prize, si muove con disinvoltura in una umanità varia e variopinta, a volte saggia e a volte dissennata e ne descrive la fatica del procedere, del migliorarsi, del ritrovarsi, con sensibilità e leggerezza.

E quale personale tributo al romanzo, il nickname di cui ero in cerca, lo adotto qui, da uno dei protagonisti di Soli e perduti.

D’ora in poi sarò Ayelet, donna a suo modo rivoluzionaria e istintiva, bella e selvatica.

Naturalmente non le somiglio, ma questo è solo un dettaglio trascurabile.

Ayelet