1200 pagine a caratteri piccoli più altre 100 di note fittissime; un tomo che neppure la allegra livrea gialla dello “Stile Libero” Einaudi sdrammatizza.
Asinisti! Non lasciatevi scoraggiare! Provate a leggere una pagina dopo l’altra, “dove arrivo arrivo”, ma fatelo con pazienza e applicazione; vedrete che non ve ne pentirete e, quasi certamente, arriverete alla fine; e se non vi arriverete, comunque ne sarà valsa più che abbondantemente la pena.
Per quanto mi riguarda credo di non essermi mai imbattuto in un romanzo così travolgente, dilagante, a tratti sovrumano, che forse proprio per questo neppure si svolge all’interno di una precisa trama che possa racchiuderlo.
DFW immagina un contesto mondiale futuro, ma non troppo lontano, figlio dei nostri giorni; un contesto fondamentalmente straniato e violento, condizionato da droga e alcol (praticamente tutti o quasi i personaggi del romanzo sono dipendenti o lo sono stati), dove si sono realizzati notevoli rivolgimenti politici (a quanto pare gli USA si sono annessi Canada e Messico), fisici (esistono una Grande Convessità e una Grande Concavità non meglio chiarite), e tecnologici (televisione, Internet, cinema sono stati soppiantati dalla ubiqua e potentissima rete Interlace). Financo il calendario è cambiato: c’è il Tempo Sponsorizzato, dove ciascun anno prende il nome da uno sponsor; quello in cui si svolge il romanzo è “L’anno della Pannolone per Adulti Depend”.
In questo scenario i protagonisti principali sono due gruppi: la Famiglia Incandenza e la Ennet House, Casa di Recupero dalle Tossicodipendenze.
Gli Incandenza comprendono James O. Incandenza, che i familiari chiamano “Lui in Persona”, personaggio gigantesco (anche fisicamente) e quasi mitologico, geniale e capace di qualsiasi eccesso, fondatore della ETA (Enfield Tennis Academy), convertito a una prolifica attività di regista cinematografico di avanguardia (nelle Note che accompagnano il testo, e che in gran parte, esausto, non ho letto, DFW inventa una filmografia completa di decine e decine di titoli che lascia allibiti), e che culmina nella creazione del micidiale “Infinite Jest”, film che soggioga chiunque lo guardi inducendolo a una dipendenza totale. James. O.I. è morto, non dico come, prima che il romanzo inizi, ma è continuamente citato e presente.
Poi c’è Avril Incandenza, la moglie, una cinquantenne bellissima ed enigmatica, dal monacale rigore ma al contempo sospetta di una relazione quasi inconfessabile, posseduta da una dedizione sacrificale per i figli.
Orin Incandenza è il figlio maggiore; ex giocatore dell’ETA di spicco, ma non abbastanza, è diventato quasi per caso una stella del football americano nel ruolo di calciatore (punter). Ha continue relazioni carnali con bellissime donne, fra le quali Joelle Van Dyme, che prima di disintossicarsi conduceva un programma di culto alla radio come Madame Psychosis, avendo una relazione, forse platonica ma comunque intensa, con James I.. Orin è molto dedito a soddisfare le donne con cui giace ma non le ama, essendo totalmente anaffettivo.
Mario Incandenza è affetto da una deformità che si indovina devastante (deve appoggiarsi a un rostro di acciaio fissato al suo petto per stare in piedi). Da bambino era anche ritardato ma ora è intelligentissimo, guida spirituale di suo fratello Hal e unico suo vero legame con il mondo.
Hal Incandenza è il personaggio di maggior spicco del romanzo. È il tennista n. 2 dell’ETA (il romanzo si apre con il caustico racconto di un’esilarante colloquio di ammissione di Hal a una Università-top. In realtà questo è cronologicamente l’ultimo episodio del romanzo, anche se lo apre, a conferma del concetto molto particolare di trama presente nel libro). Hal è un ragazzo superdotato, maniacale (impara una Enciclopedia Universale a memoria), perfetto e schiavo della sua perfezione; è un personaggio stoico, solo, triste e melanconico, tossicomane occulto: va a fumare droga in un luogo impensabile per non essere scoperto e fa cose impensabili per non essere scoperto.
Tutti, tranne Orin, vivono all’ETA, sorta di università tennistica per ragazzi dai 13 ai 18 anni, che una disciplina e un’applicazione spietata forgia in futuri campioni (il racconto di un estenuante e disumano allenamento sotto la direzione dell’hitleriano Schtilt è uno dei tanti pezzi magistrali del libro).
Nell’ETA vi sono un’altra serie di personaggi quali John Wayne (giocatore n. 1, imperturbabile e vera e propria macchina da tennis), Michael Pennlis (giocatore senza futuro, pusher dell’ETA e, al suo interno, figura carismatica), e Ortho “Il Tenebra” Stice (inquietante e laconico, sempre vestito di nero, e al quale capita un incidente pazzesco che solo DFW poteva immaginare).
L’altro polo del romanzo è la Ennet House, rifugio ed estrema, disperata speranza di recupero di drogati e alcolisti all’ultimissimo stadio. La E.H. è un posto davvero speciale, che ha distillato una saggezza profonda e quasi filosofica dalla esperienza fatta con, è da presumere, tantissimi disperati. È un posto dove si viene accolti e non si viene in alcun modo giudicati. E’ una comunità vera, dove i momenti collettivi sono di fondamentale importanza terapeutica. E’ però anche un luogo inflessibile, dalla disciplina quasi militare. Le regole sono molte (orari, impegni giornalieri, ciò che si può e NON SI DEVE fare) e uno sgarro, specie con le sostanze, significa espulsione certa e immediata.
Agli ospiti viene insegnato a credere, anzi a far finta di credere perché ciò servirà poi a credere davvero.
In questo contesto il principale protagonista è Don Gately, un gigantesco ex alcolista e tossicomane, che nella E.H. si fa un mazzo così senza chiedere nulla in cambio. È l’esempio/simbolo di una resistenza eroica al richiamo della droga.
Il romanzo e un grande affresco/profezia sulla America del futuro, e può dare una sensazione di apparente eterogeneità.
In realtà DFW padroneggia il magmatico e incandescente materiale narrativo che crea tramite una tecnica costruttiva e narrativa pressoché perfetta. Non da meno è la resa letteraria; DWF fa letteralmente tutto quello che vuole, arrivando a narrazioni in puro slang, ad esempio per descrivere magistralmente la notte folle di eroina e morte di una gang di strada (pg. 153-161), o infilando a un certo punto un dialogo fra Hal e Orin Incandenza (pg. 285-307) degno del miglior Salinger; capace di digressioni vertiginose (pg. 239) o di incredibili trovate (pg. 647); dotato di un’esuberanza portentosa che rende impossibile godersi totalmente il romanzo inducendo -a me così è successo- la certezza che almeno qualcosa sia sfuggito.
Al servizio di questo enorme, pantagruelico affresco dei paradossi e delle pazzie dell’età post-contemporanea rappresentata, DFW pone anche uno humour caustico e fulmineo che, coniugato a una vena inventiva quasi inconcepibile, lo porta a creare e raccontare monumenti di follia collettiva quali la sindrome da videofonia (tutti, schiavi della propria immagine patinata, appaiono solo in collegamento videofonico e non escono più di casa), o l’elettrodo del piacere, che sostituisce qualsiasi altra forma di godimento, oppure la rappresentazione dell’incomunicabilità egocentrica, con allucinanti “dialoghi” in cui in realtà ognuno parla per conto suo, in una enorme Babele moderna.
Ci sono poi temi ricorrenti quali la droga (ad esempio la crisi di astinenza di Povero Tony: pg. 359/367), il suicidio, la violenza, la pazzia e, infine, il dolore autentico di drogati, alcolizzati, devianti e marginali, descritto con una intima e totale adesione tali da far pensare a una esperienza diretta e profondamente vissuta.
Un grande, unico, entusiasmante, estenuante romanzo.
Poronga
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