David Foster Wallace “La ragazza dai capelli strani”

downloadicona-voto-asino2icona-voto-asinoicona-voto-asino2Dei libri che ho letto di DFW (credo praticamente tutti tranne quelli postumi, che mi insospettiscono un po’), questo è quello dove mi è sembrato che la sua genialità scintilli meno. A dirla tutta ci sono anzi un paio di racconti (“John Billy” e “Dire mai”) dei quali avrei fatto volentieri a meno, avendoli trovati ermetici e pesanti.

Però sempre di lui si tratta, e anche in questo libro si entra nel suo mondo unico: un mondo che riconosci perfettamente, ma che per profondità di analisi e precisione di rappresentazione, non hai mai visto così.  Alla fine dei suoi libri mi sento sempre un po’ come quando sali sul carrello di una di quelle sbalorditive attrazioni da luna park comprensive di “giro della morte”, che  ti lasciano un po’ stranito. Continua a leggere

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David Foster Wallace 2

DFWIn occasione del decennale dalla scomparsa di DFW  la Repubblica di domenica scorsa gli ha dedicato sei pagine.

Le cose migliori le ha scritte il solito Baricco, e le riporto.

UNA PENNA PRONTA AD ESPLODERE

“Be’ era chiaramente il più dotato di tutti. Leggeva nel mondo pagine in più, o righe nascoste, che nessuno vedeva; non necessariamente erano passaggi fondamentali, ma è vero che il composto chimico che chiamiamo vita nasce anche da certo spreco gratuito, esibizione insignificante, generosità senza scopo; lui registrava tutto, in modo meticoloso e ilare; ne rendeva poi conto in quella prosa che sembrava sgorgargli facilissima -non so se così fosse- e tentacolare e luminosa. Non sembravano porgergli difficoltà i labirinti della lingua, della sintassi, del lessico. Era uno di quegli scrittori -rarissimi- in cui la scrittura sembra la forma necessaria del pensiero, il naturale epilogo dell’intelligenza, un necessario detrito di un processo di comprensione. Capiva e quindi scriveva. È difficile immaginarlo varcare la soglia tra i due gesti con qualcosa d’altro che una naturalezza assoluta. Continua a leggere

David Foster Wallace “La scopa del sistema”

scopaLa bellissima Lenore Stonecipher (tutte o quasi le donne di questo romanzo sono belle o bellissime) è la (non unica) rampolla di una ricchissima famiglia che produce omogeneizzati (sta per lanciarne uno rivoluzionario dotato di uno straordinario fattore della crescita), ma lavora come centralinista a quattro dollari l’ora in una casa editrice, pur avendo una storia d’amore (o quasi) con Rick Vigorous, il poco attraente e, a quanto pare, minidotato proprietario della stessa.

Lenore è alla ricerca della ultracentenaria bisnonna (Lenore pure lei), che è evasa dalla casa di ricovero con altri 25 fra pazienti inservienti. Forse, ma non è sicuro, verrà ritrovata in un ben strano locale surriscaldato alla temperatura di 36,9°, l’unica alla quale la arzilla vecchietta, studiosa di Wittgenstein, può sopravvivere.

Come inizio strampalato non c’è male, ma quanto a strampalataggine il romanzo riserva ben altro, al punto di finire, dopo 550 pagine, come segue: “ Puoi fidarti di me –dice R.V. guardando la mano di lei- Sono un uomo di

È il primo romanzo dell’allora ventiquattrenne DWF, che frulla senza troppe -o meglio-senza nessuna preoccupazione narrativa tic, stranezze, manie, ossessioni della società americana.

Brillano qua e là i bagliori di un talento enorme e singolarissimo (ad esempio il racconto dell’amore fra Lenore e Vigorous, l’esilarante colloquio fra Lenore, la sua amica Candy e un ciarliero pappagallo; i surreali, pazzeschi e spassosissimi racconti che Rick fa a Lenore, tipo quello sulla “persona affetta da vanità di 2° grado”), ma si è complessivamente lontani dai risultati che verranno successivamente raggiunti.

Un libro trascurabile, soprattutto per il notevole impegno che richiede, ricompensato in minima parte dai piaceri tratti dalla lettura.

Con il che spero di aver almeno in parte fugato i dubbi, miei per primo, di smarrire il lume della ragione quando di mezzo c’è DFW.

Poronga

David Foster Wallace “Infinite Jest”

infinite1200 pagine a caratteri piccoli più altre 100 di note fittissime; un tomo che neppure la allegra livrea gialla dello “Stile Libero” Einaudi sdrammatizza.

Asinisti! Non lasciatevi scoraggiare! Provate a leggere una pagina dopo l’altra, “dove arrivo arrivo”, ma fatelo con pazienza e applicazione; vedrete che non ve ne pentirete e, quasi certamente, arriverete alla fine; e se non vi arriverete, comunque ne sarà valsa più che abbondantemente la pena.

Per quanto mi riguarda credo di non essermi mai imbattuto in un romanzo così travolgente, dilagante, a tratti sovrumano, che forse proprio per questo neppure si svolge all’interno di  una precisa trama che possa racchiuderlo.

DFW immagina un contesto mondiale futuro, ma non troppo lontano, figlio dei nostri giorni; un contesto fondamentalmente straniato e violento, condizionato da droga e alcol (praticamente tutti o quasi i personaggi del romanzo sono dipendenti o lo sono stati), dove si sono realizzati notevoli rivolgimenti politici (a quanto pare gli USA si sono annessi Canada e Messico), fisici (esistono una Grande Convessità e una Grande Concavità non meglio chiarite), e tecnologici (televisione, Internet, cinema sono stati soppiantati dalla ubiqua e potentissima rete Interlace). Financo il calendario è cambiato: c’è il Tempo Sponsorizzato, dove ciascun anno prende il nome da uno sponsor; quello in cui si svolge il romanzo è “L’anno della Pannolone per Adulti Depend”.

In questo scenario i protagonisti principali sono due gruppi: la Famiglia Incandenza e la Ennet House, Casa di Recupero dalle Tossicodipendenze.

Gli Incandenza comprendono James O. Incandenza, che i familiari chiamano “Lui in Persona”, personaggio gigantesco (anche fisicamente) e quasi mitologico, geniale e capace di qualsiasi eccesso, fondatore della ETA (Enfield Tennis Academy), convertito a una prolifica attività di regista cinematografico di avanguardia (nelle Note che accompagnano il testo, e che in gran parte, esausto, non ho letto, DFW inventa una filmografia completa di decine e decine di titoli che lascia allibiti), e che culmina nella creazione del micidiale “Infinite Jest”, film che soggioga chiunque lo guardi inducendolo a una dipendenza totale. James. O.I. è morto, non dico come, prima che il romanzo inizi, ma è continuamente citato e presente.

Poi c’è Avril Incandenza, la moglie, una cinquantenne bellissima ed enigmatica, dal monacale rigore ma al contempo sospetta di una relazione quasi inconfessabile, posseduta da una dedizione sacrificale per i figli.

Orin Incandenza è il figlio maggiore; ex giocatore dell’ETA di spicco, ma non abbastanza, è diventato quasi per caso una stella del football americano nel ruolo di calciatore (punter). Ha continue relazioni carnali con bellissime donne, fra le quali Joelle Van Dyme, che prima di disintossicarsi conduceva un programma di culto alla radio come Madame Psychosis, avendo una relazione, forse platonica ma comunque intensa, con James I.. Orin è molto dedito a soddisfare le donne con cui giace ma non le ama, essendo totalmente anaffettivo.

Mario Incandenza è affetto da una deformità che si indovina devastante (deve appoggiarsi a un rostro di acciaio fissato al suo petto per stare in piedi). Da bambino era anche ritardato ma ora è intelligentissimo, guida spirituale di suo fratello Hal e unico suo vero legame con il mondo.

Hal Incandenza è il personaggio di maggior spicco del romanzo. È il tennista n. 2 dell’ETA (il romanzo si apre con il caustico racconto di un’esilarante colloquio di ammissione di Hal a una Università-top. In realtà questo è cronologicamente l’ultimo episodio del romanzo, anche se lo apre, a conferma del concetto molto particolare di trama presente nel libro). Hal è un ragazzo superdotato, maniacale (impara una Enciclopedia Universale a memoria), perfetto e schiavo della sua perfezione; è un personaggio stoico, solo, triste e melanconico, tossicomane occulto: va a fumare droga in un luogo impensabile per non essere scoperto e fa cose impensabili per non essere scoperto.

Tutti, tranne Orin, vivono all’ETA, sorta di università tennistica per ragazzi dai 13 ai 18 anni, che una disciplina e un’applicazione spietata forgia in futuri campioni (il racconto di un estenuante e disumano allenamento sotto la direzione dell’hitleriano Schtilt è uno dei tanti pezzi magistrali del libro).

Nell’ETA vi sono un’altra serie di personaggi quali John Wayne (giocatore n. 1, imperturbabile e vera e propria macchina da tennis), Michael Pennlis (giocatore senza futuro, pusher dell’ETA e, al suo interno, figura carismatica), e Ortho “Il Tenebra” Stice (inquietante e laconico, sempre vestito di nero, e al quale capita un incidente pazzesco che solo DFW poteva immaginare).

L’altro polo del romanzo è la Ennet House, rifugio ed estrema, disperata speranza di recupero di drogati e alcolisti all’ultimissimo stadio. La E.H. è un posto davvero speciale, che ha distillato una saggezza profonda e quasi filosofica dalla esperienza fatta con, è da presumere, tantissimi disperati. È un posto dove si viene accolti e non si viene in alcun modo giudicati. E’ una comunità vera, dove i momenti collettivi sono di fondamentale importanza terapeutica. E’ però anche un luogo inflessibile, dalla disciplina quasi militare. Le regole sono molte (orari, impegni giornalieri, ciò che si può e NON SI DEVE fare) e uno sgarro, specie con le sostanze, significa espulsione certa e immediata.

Agli ospiti viene insegnato a credere, anzi a far finta di credere perché ciò servirà poi a credere davvero.

In questo contesto il principale protagonista è Don Gately, un gigantesco ex alcolista e tossicomane, che nella E.H. si fa un mazzo così senza chiedere nulla in cambio. È l’esempio/simbolo di una resistenza eroica al richiamo della droga.

Il romanzo e un grande affresco/profezia sulla America del futuro, e può dare una sensazione di apparente eterogeneità.

In realtà DFW padroneggia il magmatico e incandescente materiale narrativo che crea tramite una tecnica costruttiva e narrativa pressoché perfetta. Non da meno è la resa letteraria; DWF fa letteralmente tutto quello che vuole, arrivando a narrazioni in puro slang, ad esempio per descrivere magistralmente la notte folle di eroina e morte di una gang di strada (pg. 153-161), o infilando a un certo punto un dialogo fra Hal e Orin Incandenza (pg. 285-307) degno del miglior Salinger; capace di digressioni vertiginose (pg. 239) o di incredibili trovate (pg. 647); dotato di un’esuberanza portentosa che rende impossibile godersi totalmente il romanzo inducendo -a me così è successo- la certezza che almeno qualcosa sia sfuggito.

Al servizio di questo enorme, pantagruelico affresco dei paradossi e delle pazzie dell’età post-contemporanea rappresentata, DFW pone anche uno humour caustico e fulmineo che, coniugato a una vena inventiva quasi inconcepibile, lo porta a creare e raccontare monumenti di follia collettiva quali la sindrome da videofonia (tutti, schiavi della propria immagine patinata, appaiono solo in collegamento videofonico e non escono più di casa), o l’elettrodo del piacere, che sostituisce qualsiasi altra forma di godimento, oppure la rappresentazione dell’incomunicabilità egocentrica, con allucinanti “dialoghi” in cui in realtà ognuno parla per conto suo, in una enorme Babele moderna.

Ci sono poi temi ricorrenti quali la droga (ad esempio la crisi di astinenza di Povero Tony: pg. 359/367), il suicidio, la violenza, la pazzia e, infine, il dolore autentico di drogati, alcolizzati, devianti e marginali, descritto con una intima e totale adesione tali da far pensare a una esperienza diretta e profondamente vissuta.

Un grande, unico, entusiasmante, estenuante romanzo.

Poronga

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David Foster Wallace “Brevi interviste a uomini schifosi”

breviLa gran parte dei protagonisti di questi racconti sono personaggi psicopatici, ribaldeschi, cinici, maniacali; uomini, appunto, schifosi .

Fra essi spiccano il bastardo dell’aeroporto e quello “che non vuole far soffrire la donna che sta per lasciare“.

Memorabile il labirintico e funambolico “Le persone depresse” (anche qui un saggio di capacità analitiche e descrittive del tutto fuori norma) e “Sul letto di morte…”, dove si descrive la tragedia dell’ avere un figlio (beninteso: un figlio assolutamente sano e normale).

Anche in questo libro di racconti  DFW  dimostra una eloquenza fluviale ed inesauribile e un grande virtuosismo. Il che non gli impedisce, se vuole, di essere di fulminea ed icastica efficacia, come ad esempio nel ritratto dei “macrobiotici”.

Poronga

David Foster Wallace “Considera l’aragosta”

aragDFW è stato anche, in un modo tutto suo, un eccezionale saggista.

Qui sono raccolti una serie di scritti sugli argomenti più vari (il mondo del porno, Kafka, Dostoevskij , Updike, l’uso della lingua, la campagna elettorale di  McCain per le primarie presidenziali, le implicazioni legate al consumo dell’aragosta e al modo di cuocerla, i talk-show radiofonici), tutti affrontati con grande e imparziale serietà quanto allo studio e all’approfondimento, in primo luogo sotto il profilo informativo, dei temi trattati .

DFW dimostra costantemente di essere non solo un acuto e originalissimo osservatore, dotato di capacità analitiche e descrittive tali che l’accostamento a Proust non mi sembra per nulla azzardato o irriguardoso, ma anche, e prima ancora, un intellettuale sopraffino.

Se a ciò si aggiungono una ironia descrittiva, uno humour, un sarcasmo del tutto fuori del comune e che scorrono naturali come acqua di fonte (DFW non dimostra sforzo alcuno: non si applica per essere ironico, tagliente, divertentissimo: lo è e basta), si ha nuovamente la misura del genio.

Dicevo che si tratta per lo più di saggi critici o di taglio giornalistico, tranne forse “La vista da casa della signora Thompson”, ove l’11 settembre viene rivissuto/narrato nel contesto di una piccola comunità del Middwest, parte della quale è riunita nella casa della signora Thompson a guardare i primi servizi subito dopo l’attentato alle torri.

Tra questi saggi quello che forse mi ha colpito di più è intitolato “Autorità e uso della lingua”; un piccolo trattato di linguistica che, come già detto nella “sviolinata” ho cominciato a leggere solo a titolo di rispettoso omaggio al Nostro (non più di 3-4 pagine, pensavo), e che poi mi sono gustato tutto con sommo piacere, beandomi delle eccezionali qualità di profondità, eleganza, incisività, humour (mitico l’apologo sulla gonna/pantalone e quello sullo slang).

Molto bello anche il lungo resoconto di una settimana a seguito della campagna elettorale di John McCain; spassosissima in particolare la descrizione di questa specie di circo Barnum con le “matite”, le “scimmie”, il valzer di cellulari ecc.

Una menzione merita anche “Il figlio rosso e grosso”, reportage sul mondo e sull’industria del porno, che DFW descrive in modo oggettivo e quasi asettico, lontanissimo da ogni atteggiamento moralisteggiante o di superiorità, ma raggiungendo lo stesso vette di humour irresistibile (i “problemi di legno” ecc.).

Il libro è straordinariamente ricco, e per le citazioni vi è veramente l’imbarazzo della scelta.

Una per tutte:

Un collega snob di mia conoscenza ama dire che ascoltare la gente parlare in pubblico di solito è come guardare qualcuno che usa uno Stradivari per battere chiodi”.

Provate a immaginare la scena e ditemi voi se si può trovare un paragone migliore.

Poronga

David Foster Wallace “Questa è l’acqua”

acquaVorrei cercare di dar conto della sviolinata su David Foster Wallace; d’altra parte mi piacerebbe, nel mio piccolo, contribuire alla diffusione di questo autore, in Italia letto molto meno di quanto secondo me meriterebbe.

Forse dei libri che ho letto, quello migliore per avvicinarsi a DFW, prima del grande cimento  con il monumentale e imperdibile “Infinite Jest”,  è “Questa e l’acqua”.

Si tratta di cinque racconti: uno brevissimo (“L’altra matematica”), in cui DFW si diverte a narrare la insana e sessuata passione di un nipote per suo nonno; uno (“Crollo del ’69”) di cui non ho capito nulla; uno (“Ordine e fluttuazione a Northhampton”) che narra la vicenda dello sfigatissimo Barry Dingle, disastrosamente innamorato di una matura frikkettona; poi ci sono “Salomon Silverfish” e “Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta” che ho trovato bellissimi.

Nel primo si  racconta la malattia terminale di una ex bellissima donna che ama molto, molto riamata, il marito, compagno di una vita. Eccezionale e di grande per quanto scabra sensibilità è la descrizione della malattia, e ancor più la rivendicazione dell’amore per il marito che Sophie fa ai gretti e ammutoliti genitori.

Il secondo è il  racconto, dal fulminante inizio, di una depressione. A me è sembrato di leggere il migliore e più ispirato Salinger aggiornato a cinquant’anni dopo.

Infine, la prolusione accademica tenuta da DFW, cui ho già accennato nella “sviolinata”.

Poronga

David Foster Wallace

dfwDavid Foster Wallace è stato un genio assoluto, e sono sicuro che verrà ricordato come uno dei migliori scrittori di tutti i tempi, e come il più grande di quelli nostri (alcuni dicono che se la gioca con Roberto Bolaňo, ma, con tutto il rispetto,  secondo me DFW è un’altra cosa).

Coltissimo, intelligentissimo, acutissimo, dall’inventiva dilagante e quasi sovrumana, talora estenuante. Capace di alternare a suo piacimento una prosa ipertrofica, affabulatoria e criptica (qualche volta, vinto, proprio non ce l’ho fatta a seguirlo) a una nitida, di scintillante precisone ed efficacia.

DFW poteva davvero fare con la scrittura tutto quello che voleva: per esempio incatenarmi a una dissertazione di oltre 70 pagine sull’uso della lingua di cui all’inizio mi sembrava non me ne potesse importare di meno, o a un’altra sulla sofferenza delle aragoste cotte vive.

Totalmente imprevedibile, capace di virate narrative e digressioni vertiginose, incredibili trovate, dotato di una portentosa esuberanza e di uno humour caustico e fulmineo quanto irresistibile, come pure di una impressionante capacità di sondare e descrivere gli abissi umani.

Intellettuale dall’onnivoro eclettismo, dimostrava strabilianti conoscenze in settori più svariati quali la medicina, la farmacologia, la cinematografia, ed in generale tutto ciò che è tecnologia.

In grado di scrivere su qualsiasi cosa in modo originalissimo, spiazzante e abbagliante (e spesso illuminante).

Il miglior testimone della odierna ipermatura società opulenta, supertecnologica, viziata, folle, costantemente disorientata.

Funambolico e labirintico, dotato di un virtuosismo tale da consentirgli, se voleva, di scrivere pagine e pagine descrivendo sempre la stessa cosa, declinata però in innumerevoli e sorprendenti modi (quasi una sfida alla  noia, sempre vinta alla grande).

Autore di una prolusione per laureandi (“Questa è l’acqua”) di una bellezza, saggezza  e profondità tali da far impallidire quella, ben più famosa, di Steve Jobs.

Dispiace e inquieta che una persona capace di scrivere cose così alla fine abbia deciso, a soli 46 anni,  di appendersi a un gancio, vittima delle sue profondissime e, sarei tentato di dire, inevitabili, crisi.

Come si sarà capito, con DFW spesso occorre fare fatica (d’altra parte mica si è geni per niente), ma la ricompensa è sempre grande.

Poronga