Kundera è un autore che mi perplime.
“L’insostenibile leggerezza”, di cui ho un vago ricordo (l’ho letto prima che cominciassi a scrivermi maniacalmente una scheda/commento per ogni libro), credo sia di gran lunga la sua cosa migliore, seguita a debita distanza da “Lo scherzo”, di cui ho un ricordo ancora più vago.
Poi ho letto altri due libri che mi sono sembrati a tratti bellissimi, a tratti pessimi
Uno è “La lentezza”, che nella prima parte ha delle perle come il capitolo 6 dedicato ai “ballerini”, o come la seguente riflessione:
“C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una situazione fra le più banali: un uomo cammina per la strada e a un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo.
Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità inversamente proporzionale all’intensità dell’oblio”.
Dopo di che nella seconda parte diventano protagonisti (cito) un buco di culo e un cazzo al plurale. Non che ci sia per forza qualcosa di male, ma se ciò avviene, come nel caso, in un totale vuoto di ispirazione, allora è il disastro.
Il secondo libro è “L’immortalità”.
Anche qui mi hanno colpito la spiccata originalità di pensiero, la forza di introspezione e soprattutto la capacità di vedere e mostrare le cose della vita, grandi e piccole, da un angolo visuale del tutto insolito e, in certi casi, rivelatore.
Ad esempio:
“Il mio io non si differenzia sostanzialmente dal vostro per quello che pensa. Tanta la gente, pochi i pensieri: tutti pensiamo più o meno le stesse cose e ci passiamo a vicenda le idee, ce le prestiamo, ce le rubiamo. Però quando uno mi pesta un piede, il dolore lo sento solo io. Il fondamento dell’io non è il pensiero, ma la sofferenza, che è il più fondamentale di tutti sentimenti”.
Ecco che Kundera si serve di un fatto minuto e quotidiano quale la pestata di un piede per dire qualcosa di sensazionale e profondo.
Peccato che questo Kundera è poco dopo subissato da un tizio che si lascia andare a dissertazioni oziose, cervellotiche e arbitrarie (ad esempio quella sui “tipi di amore” esistenti) che, per quanto mi riguarda, hanno il solo effetto di irritarmi.
Poronga