Pietro è un dodicenne alle prese con una madre depressa, un padre violento e alcolista, un fratello maggiore fallito e per lui inesistente.
Ha anche un problema con tre bulletti che lo hanno preso di mira.
L’unica cosa bella, ma bella davvero, della sua vita è Gloria, una coetanea assai carina e affettuosa. Poi c’è Flora, la sua professoressa di italiano, l’unica del mondo adulto che lo capisce, ma che lo tradirà travolta da un dolore troppo grande.
In parallelo alla storia di Pietro c’è quella fra Flora, una splendida trentaduenne crocifissa dalla vita e ormai avviata sulla strada di una malinconico zitellaggio, e Graziano Biglia, il quarantaquattrenne e ormai attempato “falco” di Ischitano Scalo, che forse rappresenta il personaggio meglio riuscito, e comunque spassosissimo, del romanzo.
È una storia di povericristi che in qualche modo si arrabattano tutti; è una storia che ha un epilogo drammatico, ma che si conclude con un filo di speranza: la davvero bella lettera di Pietro, ormai maggiorenne in procinto di tornare (non dico da dove, ma non è un bel posto), che scrive a Gloria, e che si conclude così: “Preparati, perché quando passo da Bologna ti prendo e ti porto via“.
Secondo me questo è un bel libro, il migliore di A. (anche meglio dello straletto “Io non ho paura”), che si conferma scrittore molto scorrevole e piacevole, assai sapiente nell’incatenare il lettore alle sue storie con una scrittura efficace e immediata, e nel rappresentare il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza.
Una citazione: “Ognuno è quello che fa”.
Poronga
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