Heinrich Böll “E non disse nemmeno una parola”

bollNella mia – tardiva – scoperta di Böll dopo Casa senza custode sono risalito indietro di un altro anno, con questo romanzo scritto nel 1953 e che con l’altro forma un binomio quasi inscindibile nell’analisi del dramma della Germania che cerca di uscire dai disastri della guerra. Qui i protagonisti sono Fred e Käte, marito e moglie. I due sono anche le voci narranti, a capitoli alternati, e questo rende la narrazione particolarmente interessante, perché vediamo entrambi i punti di vista. Su tutto domina la desolazione del periodo postbellico, la miseria e l’imperante mancanza di denaro. Fred ha un lavoro precario presso un’istituzione religiosa, è un uomo di una certa cultura; non sappiamo nulla dei suoi studi e della sua occupazione nel periodo pre-bellico, ma sappiamo che arrotonda lo stipendio dando lezioni private ad alcuni studenti. Come tanti, è tornato dalla guerra, che pure ha vissuto nelle retrovie, completamente trasformato. Adesso esagera con l’alcol e, di comune accordo con Käte, ha lasciato la casa perché lui, che aborriva ogni forma di violenza, ha preso a picchiare i figli. Non è un disgraziato, dà alla famiglia praticamente tutto quel poco che guadagna e continua a vedersi con la moglie, che ama ricambiato. Ma entrambi ritengono ineluttabile quella scelta: ai bambini, che tuttavia intuiscono la verità, viene detto che il padre è in ospedale per una malattia. Fred e Käte sono religiosi, trovano conforto nella fede, frequentano la Chiesa dei Sette Dolori ( pensavo che certe auto-flagellazioni fossero un’esclusiva dei paesi latini! ), lui è stato segnato dalla morte a tal punto che prova un’attrazione morbosa per i cimiteri, dove i morti riposano in pace mentre i vivi si tormentano.

Quello che colpisce di più è come Böll riesca a concentrare l’orrore della guerra e i suoi danni permanenti in episodi relativamente minori – ai quali peraltro non assistiamo mai -, gli scatti d’ira incontrollati di un padre ubriaco che picchia i figli, che diventano il simbolo del dramma di una nazione. E la cosa colpisce proprio perché ciò non avviene in un ambiente malvagio e degradato, i due coniugi sono persone civilissime, Käte in particolare è una donna al tempo stesso forte e dolce, ma entrambi accettano la situazione nella sua inesorabile ineluttabilità. Ad un certo punto, Käte dice a Fred queste parole agghiaccianti: ” Preferivo piangere nel mio letto anziché sapere che picchi i bambini solo perché siamo senza soldi. Perché il motivo è questo, no? Tu picchi i bambini perché siamo poveri. ”

Sullo sfondo delle avventure dei due protagonisti, agiscono alcuni personaggi minori ma non marginali, che servono a delineare il clima generale, alcuni positivi, altri sordidi e opportunisti. Si comincia già ad intravedere la critica al consumismo che sarà poi un tema ricorrente nell’opera di Böll ( ” … negozi di tessuti nelle cui vetrine i manichini mi fissavano col loro vuoto ottimismo ” ) ma anche questo romanzo, come il successivo Casa senza custode, si conclude con una sia pur piccola nota di speranza: Fred decide di tornare a casa. Cosa succederà a lui, a Käte e ai figli lo dobbiamo immaginare noi; quello che è successo alla Germania nei 60 anni che ci separano da “E non disse nemmeno una parola” lo sappiamo e a seconda dei nostri gusti può piacerci o meno.

Tiresia

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Heinrich Böll “Casa senza custode”

bollQuesto libro ha 60 anni, e li dimostra tutti. Ciò non vuole affatto dire che sia superato, ma che è strettamente inquadrato in un contesto storico ben definito tanto da essere un libro fondante della nuova Germania che stava uscendo a fatica dai disastri della guerra. Lo stimolo a riprendere in mano Böll, naturalmente, mi è stato fornito dai recenti contributi apparsi sull’Asino.

Le vicende narrate sono viste attraverso gli occhi di due ragazzi pre-adolescenti, Heinrich e Martin, uno di famiglia proletaria, l’altro borghese. Entrambi orfani di guerra, entrambi vedono le madri ” accoppiarsi ” – come dicono nella loro pudica scoperta del sesso – con vari ” zii “, alcuni brave persone, altri meno. E’ la sorte di milioni di vedove e di orfani di guerra. In casa, entrambi hanno le foto de padri in divisa da soldato, a loro volta poco più che adolescenti, che mentre loro crescono e le mamme invecchiano rimangono eternamente giovani e incongruenti col mondo che va avanti. Heinrich, il proletario, si occupa già di far quadrare i conti di casa, mentre Martin, il borghese, ha un rapporto col danaro che ricorda Eta Beta, ma ne capisce comunque molto bene l’importanza eccessiva che esso ha per gli adulti.

Veniamo a conoscere una serie di personaggi che Böll tratteggia molto bene. Le due madri naturalmente, ma anche una nonna, e un altro personaggio fondamentale, il più positivo di tutto il romanzo: Alberto, amico fraterno del padre di Martin, che ha condiviso con lui le torture subite dai nazisti per la sua opposizione al regime. E adesso Martin, a scuola, si sente dire che ” i nazisti non erano poi tanto cattivi “!

Nel libro non succedono fatti determinanti, può essere in qualche modo considerato un romanzo di formazione: per i due ragazzi, ma soprattutto per la Germania che deve risollevarsi. Le descrizioni di fatti della vita quotidiana, della ripresa di una vita normale dopo l’immane tragedia che la Germania non aveva ancora metabolizzato – ci vorranno ancora decenni – vengono descritti magistralmente da Böll, che ci introduce così ad un tema fra i più spinosi del secolo passato. Su tutto, naturalmente, incombe la guerra che, nonostante sia finita da anni, resta una presenza costante e inquietante.

Nonostante Böll sia noto per le sue critiche spesso feroci alla società tedesca ed occidentale, questo libro si chiude con parole di speranza per ambedue i protagonisti:

” … e per la prima volta in vita sua Martin conobbe con piena consapevolezza che cos’è il dubbio, e si rese conto che qualcosa era finito: che cosa fosse, non l’avrebbe saputo dire, ma qualcosa era finito per sempre. ”

” … Heinrich … pensava alla speranza che per un momento era apparsa nel viso di sua madre: per un momento solo, ma Heinrich sapeva che un momento era molto.”

Tiresia

Heinrich Böll “L’onore perduto di Katharina Blum”

BollKatharina è una ragazza di 27 anni, bella e di umili origini.

È a suo modo una persona praticamente perfetta: limpida, onesta, coraggiosa, con un ferreo sentimento della propria dignità personale.

Una sera per caso lei -che pur corteggiatissima anche da persone di alto rango non ha mai dato corda a nessuno, guadagnandosi la fama di donna probabilmente frigida- incontra a una festa un uomo; balla con lui tutto il tempo, se lo porta a casa, ci fa l’amore, se ne innamora. Poiché l’uomo è ricercato per reati politici lo aiuta a fuggire.

Qui inizia il suo calvario.

La cosa va a finire sui giornali, e specialmente uno, quello più importante, in pochi giorni massacra letteralmente Katharina e quello che è rimasto della sua famiglia. Tutto questo grazie all’opera di un cronista che definire un porco è un eufemismo.

Ma Katarina….

Böll è bravissimo. Racconta senza accenti, in modo algido e a volte ironico una storia che fa fremere di sdegno.

Katharina è un personaggio bellissimo: un gigante in senso morale che, senza agitarsi più di tanto, soffre (molto), combatte, e spazza via i pigmei che l’hanno crocifissa.

Anche qui Böll non rinuncia alla sua opera di denuncia e critica della società tedesca del dopoguerra (ipocrita, perbenista, materiale), che la parabola da lui narrata serve egregiamente, pur senza ridursi esclusivamente ad essa.

A me questo breve romanzo è piaciuto moltissimo; forse più dei pur acclamati “ Opinioni di un clown” e “Foto di gruppo con signora”.

Poronga