Nella mia – tardiva – scoperta di Böll dopo Casa senza custode sono risalito indietro di un altro anno, con questo romanzo scritto nel 1953 e che con l’altro forma un binomio quasi inscindibile nell’analisi del dramma della Germania che cerca di uscire dai disastri della guerra. Qui i protagonisti sono Fred e Käte, marito e moglie. I due sono anche le voci narranti, a capitoli alternati, e questo rende la narrazione particolarmente interessante, perché vediamo entrambi i punti di vista. Su tutto domina la desolazione del periodo postbellico, la miseria e l’imperante mancanza di denaro. Fred ha un lavoro precario presso un’istituzione religiosa, è un uomo di una certa cultura; non sappiamo nulla dei suoi studi e della sua occupazione nel periodo pre-bellico, ma sappiamo che arrotonda lo stipendio dando lezioni private ad alcuni studenti. Come tanti, è tornato dalla guerra, che pure ha vissuto nelle retrovie, completamente trasformato. Adesso esagera con l’alcol e, di comune accordo con Käte, ha lasciato la casa perché lui, che aborriva ogni forma di violenza, ha preso a picchiare i figli. Non è un disgraziato, dà alla famiglia praticamente tutto quel poco che guadagna e continua a vedersi con la moglie, che ama ricambiato. Ma entrambi ritengono ineluttabile quella scelta: ai bambini, che tuttavia intuiscono la verità, viene detto che il padre è in ospedale per una malattia. Fred e Käte sono religiosi, trovano conforto nella fede, frequentano la Chiesa dei Sette Dolori ( pensavo che certe auto-flagellazioni fossero un’esclusiva dei paesi latini! ), lui è stato segnato dalla morte a tal punto che prova un’attrazione morbosa per i cimiteri, dove i morti riposano in pace mentre i vivi si tormentano.
Quello che colpisce di più è come Böll riesca a concentrare l’orrore della guerra e i suoi danni permanenti in episodi relativamente minori – ai quali peraltro non assistiamo mai -, gli scatti d’ira incontrollati di un padre ubriaco che picchia i figli, che diventano il simbolo del dramma di una nazione. E la cosa colpisce proprio perché ciò non avviene in un ambiente malvagio e degradato, i due coniugi sono persone civilissime, Käte in particolare è una donna al tempo stesso forte e dolce, ma entrambi accettano la situazione nella sua inesorabile ineluttabilità. Ad un certo punto, Käte dice a Fred queste parole agghiaccianti: ” Preferivo piangere nel mio letto anziché sapere che picchi i bambini solo perché siamo senza soldi. Perché il motivo è questo, no? Tu picchi i bambini perché siamo poveri. ”
Sullo sfondo delle avventure dei due protagonisti, agiscono alcuni personaggi minori ma non marginali, che servono a delineare il clima generale, alcuni positivi, altri sordidi e opportunisti. Si comincia già ad intravedere la critica al consumismo che sarà poi un tema ricorrente nell’opera di Böll ( ” … negozi di tessuti nelle cui vetrine i manichini mi fissavano col loro vuoto ottimismo ” ) ma anche questo romanzo, come il successivo Casa senza custode, si conclude con una sia pur piccola nota di speranza: Fred decide di tornare a casa. Cosa succederà a lui, a Käte e ai figli lo dobbiamo immaginare noi; quello che è successo alla Germania nei 60 anni che ci separano da “E non disse nemmeno una parola” lo sappiamo e a seconda dei nostri gusti può piacerci o meno.
Tiresia