Jennifer Egan “Manhattan beach”

La dodicenne Anna Kerrigan -così inizia il romanzo- accompagna il padre, uomo dalla non limpida vita, a visitare Dexter Styles, un influente a affascinante capo malavitoso,  presso il quale deve svolgere una non meglio precisata commissione .

Fra Anna e il padre vi è un forte rapporto, destinato a interrompersi con la improvvisa scomparsa dell’uomo. Anna ha anche un forte rapporto con la sorella Lydia, “un miscuglio di bellezza e deformità”, e con la madre, affranta dalla fatica e dal dolore per la seconda figlia.

Siamo nel corso della seconda guerra mondiale, raccontata dal punto di vista dei cittadini americani che partecipano col lavoro e il sacrificio allo sforzo bellico (un punto di vista quindi insolito, dal momento che normalmente gli americani vengono rappresentati nei teatri di guerra, specie europei); uno sforzo cui partecipa anche Anna, impegnata con altre migliaia di ragazze nella costruzione delle navi da guerra, ma che poi, rapita dagli addestramenti che i palombari svolgono nel porto dove lavora, diventa palombaro essa stessa -il primo palombaro donna- sconfiggendo lo scetticismo maschile da cui è circondata.

Parte di qui una lunga e complessa vicenda, che credo abbia molto impegnato Egan, come ad esempio si capisce dal grande sforzo di documentazione circa il periodo e circa quanto narrato; per esempio E. mostra una conoscenza sorprendente di tutto quanto (attrezzature, tecniche, rischi ecc.) concerne il mondo delle immersioni umane.

Detto questo, io il perché di questo romanzo, che segue il molto più riuscito “Il tempo è un bastardo”, Pulitzer 2011, non è che lo abbia capito molto, e mi è sembrato nel complesso  una cosa poco riuscita e poco incisiva, che già faccio fatica a ricordare.

Poronga

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Jennifer Egan, “Il tempo è un bastardo”

eganUn romanzo insolito e originale.
Non c’è un protagonista vero e proprio, quanto una serie di personaggi che vengono colti, senza nessun ordine cronologico, in alcuni momenti delle loro vite.
Il tempo (ma poi in fondo è così bastardo?) viene dalla autrice spostato avanti indietro senza molti complimenti, talora con improvvise e vertiginose accelerazioni narrative. La storia, in fondo, è quella di una rock-band il cui leader (il fuoriclasse e pazzo Scotty) finisce per condurre una vita grama, e il cui membro più sfigato (Bennie) raggiunge ricchezza, successo, agi. Molto spazio è dedicato alla musica, presenza quasi costante.
Ci sono due capitoli magistrali e bellissimi: il 6° che descrive l’incontro fra Bennie e Scotty nel sontuoso ufficio del primo, e il 9° che racconta l’incontro fra un giornalista e una stellina del cinema. C’è anche un capitolo stranissimo, il 12°, dove un difficile e delicato rapporto genitori/figli è raccontato attraverso parole e grafici.
Una citazione: “… capivo una cosa che quasi nessuno sembrava afferrare, che c’è una differenza infinitesimale, una differenza che quasi non esiste, se non come invenzione della mente umana, tra lavorare in un grattacielo di vetro verde in Park Avenue e raccogliere spazzatura in un parco. Anzi, forse la differenza non esiste proprio”.
Degno premio Pulitzer 2011.

Poronga