Bellissimo, senza dubbio uno dei migliori romanzi del ‘900 italiano (e io che stavo per perdermelo, mezzo scoraggiato dalla “Diceria”… Grazie mille alla signora nilsson e a Traddels!).
In una metastorica Italia preunitaria quattro patrioti condannati a morte sono prigionieri in una fortezza su una impervia isola. Sono un nobile, un poeta-filosofo, un soldato, un bel giovane.
Il sofferente e diabolico Governatore propone loro uno scambio: riveli uno di essi, con la garanzia dell’anonimato, l’identità del loro capo, e tutti avranno salva la vita.
Si avvia così la ultima notte dei quattro, che si dichiarano tutti indisponibili all’infame patto. Su suggerimento di un compagno di cella, condannato a morte per brigantaggio, i quattro decidono di spendere la notte che loro rimane narrando ciascuno una storia, non importa se vera o inventata, della loro vita.
Ogni racconto è intervallato da un capitolo nel quale si registrano i cambiamenti e i dubbi che, quasi impercettibilmente, si insinuano e progrediscono fra i quattro: l’utilità del sacrificio, il rimpianto per la vita, le cose che restano da fare.
I due ultimi capitoli registrano un doppio colpo di scena.
Grande e potente rappresentazione dei dubbio, della doppiezza, dell’inganno, questo breve ma densissimo romanzo, del quale non va persa neppure una parola, gronda da ogni pagina cultura, intelligenza, riflessione acuta e amara. Il tutto sorretto da una musicale prosa di strabiliante eleganza, ricchezza, profondità.
Mi limito a una citazione (altrimenti dovrei trascrivere il libro) da una delle primissime pagine dove, descrivendo la condizione di condannati in cella, Bufalino fa subito capire al lettore con che razza di opera ha a che fare:
“Li sveglia nel cuore della notte, prima l’uno poi l’altro, un allarme dietro la fronte, che non s’è lasciato ingannare da nessuna amichevole luna, e pretende di ricordare a ciascuno, con una precisione di pendola, il numero di giorni, ore e minuti, che rimangono da vivere. Li sveglia e il primo riverbero d’umido sole li sorprende sempre così, con gli occhi al soffitto, metà imbrattati di sogni, metà di paura, intenti a tracciare tra le travi linee di forza e di fuga, un intreccio di svincoli, botole e crepe, alla fine dei quali li attende una felice assenza di peso, un’aerea dissennatezza, un sentimento di volo che nel loro idioma mentale, non scritto né detto, corrisponde all’idea, così virginea e sorgiva, di libertà”.
Premio Strega 1988.
Premio Strega 2015: Lagioia…
Io la critica letteraria italiana la capisco e stimo sempre meno.
Poronga