Guido Maria Brera “I Diavoli”

untitled“I Diavoli” La finanza raccontata dalla sua scatola nera.
Già l’incongruenza tra il titolo e il sottotitolo avrebbe dovuto darmi un avvertimento decisivo… E infatti non avrei mai comprato questo romanzo di fantafinanza né per il titolo, né per la copertina, né tanto meno se, come faccio di solito, lo avessi un po’ sfogliato in libreria… E allora perché? Galeotta fu la trasmissione televisiva “Invasioni barbariche”, in cui Guido Maria Brera, invitato dalla conduttrice Daria Bignardi, ha presentato il libro, ma soprattutto ha presentato sé stesso, in modo veramente (almeno per me) credibile, empatico e accattivante. E la Bignardi, che non so quanto abbia letto del romanzo, lo ha presentato come una storia, anzi “LA” storia di come oggi la finanza agisce, di come è responsabile di tutto il male che sta succedendo nel mondo, aggiungendo che finalmente tutto questo era stato descritto da un operatore di grande successo tuttora in attività. Neanche a farlo apposta, uno o due giorni dopo ho letto una recensione del libro su Repubblica (non ricordo il nome del recensore), che confermava in pieno quanto detto in trasmissione, aggiungendo, udite udite, che Guido Brera scriveva veramente bene. A posteriori, i miei dubbi sul fatto che i recensori leggano davvero i libri di cui parlano erano saliti esponenzialmente…
Dunque: a me il libro ha ricordato il peggior Dan Brown, quello di “Angeli e demoni” e “Inferno” (vedi anche la impressionante somiglianza dei titoli!), sia per la macrospopica e sconclusionata esagerazione del racconto (non sono un esperto di finanza ma credo di saperne a sufficienza per capire come i fatti narrati sono veramente tagliati con l’accetta, come del resto i protagonisti del romanzo), sia per l’irritante insistenza su particolari e luoghi comuni ritenuti ad effetto e testimoni di una “erudizione” dell’ambiente e dei protagonisti… Poco o nulla ci viene risparmiato per descrivere l’ostentazione apparentemente distratta del lusso, il nido d’aquila sull’Argentario, la Thriumph Bonneville, l’affettatrice Berkel rossa, Saint Moritz, il Patek Philippe, le Lamborghini, le Carle Marie, il Marais e Places des Vosges, la partita di tennis nella Royal Albert Hall all’uopo affittata… E tra l’altro, in questa elencazione di simboli di questa “vita”, Brera incorre in un paio di divertenti svarioni: chiama Leika la macchina fotografica Leica (due volte quindi non pare un errore di stampa) e chiama gomena la scotta del fiocco (anche qui due o tre volte…). Mah, ho persino pensato che sia un vezzo…anzi è sicuramente voluto perché non posso pensare che la persona intelligente, colta e precisa che ho visto ne “Le invasioni barbariche” possa aver sorvolato su simili errori.
Comunque, nonostante tutto questo, proprio come mi è accaduto con i libri di Dan Brown, non sono riuscito a interrompere la lettura: sì, ovviamente adottavo la “lettura veloce”, ma sono arrivato fino in fondo per “vedere come andava a finire”, se “i cattivi restavano cattivi” o se qualcuno diventava buono. No, nonostante tutti gli elementi di veridicità della crisi economica e nonostante l’indubbia conoscenza dell’Autore circa le cose di cui parla, qui mi pare che abbia francamente imbastito una storia e una trama piuttosto fragili, dove il sensazionalismo prevale sulla verosimiglianza. E non sono riuscito a capire se e in quale misura Guido Brera si rappresenti e si riconosca nel Massimo del romanzo: ma probabilmente no, non c’entra nulla, è solo l’impressione che avevo avuto nella trasmissione della Bignardi che ha dato origine a tutta questa serie di equivoci e false (almeno per me) aspettative.
Guido Maria Brera continua comunque a restarmi simpatico e gli auguro tutte le migliori fortune sia come scrittore sia come operatore finanziario globale.
Silver 3

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