Alessandro Baricco “The game”

bar.jpgicona-voto-asinoicona-voto-asino2Confesso di averlo comprato per sbaglio: pensavo fosse un romanzo e invece è un saggio, per la precisione sulla nascita e sviluppo del digitale e delle reti a partire dal 1978, anno in cui apparve il primo videogioco, “Space Invaders”, che oggi fa quasi tenerezza di fronte all’apparire dei primi sistemi di intelligenza artificiale.

Le parti ricognitive le ho trovate interessantissime: un riepilogo molto informato e scorrevole attraverso le pietre miliari che hanno scandito un’autentica rivoluzione, che ha radicalmente cambiato i nostri modi di produrre, consumare e vivere (e ora una nuova ondata si annuncia con i big data). Per questa parte il libro secondo me è assolutamente da leggere, specie per chi non la sappia già lunga sul tema. Continua a leggere

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Libri d’estate

estateCome dice il nostro Poronga, non si può leggere una storia che non ci ha conquistato. È nostro diritto di lettori ribellarci alla schiavitù del libro-padrone: solo perché ha ottenuto un posto sul nostro comodino (o forse di questa stagione dovrei dire ‘accanto alla nostra sedia sdraio’), ciò non significa che possa mantenerlo immeritatamente.

E così… una sfilza di libri cominciati e abbandonati dopo un assaggio fuggente.

Tra questi, La sposa giovane di Baricco, che stupisce con una decina di pagine che ricordano Tomasi di Lampedusa e una lingua ricca e densa, e presto scadono in una parodia moderna e mediocre di quelle atmosfere. La delusione è stata sufficiente per sentirmi defraudata, tradita dallo scrittore serpente e non saprò mai come va a finire la storia.

Lo stesso vale per Le correzioni di Franzen, che dopo una cinquantina di pagine (lette d’un fiato) mi è parso l’ennesimo romanzo americano all’americana: nessuna originalità nella storia, niente di niente che possa incuriosirmi nella scrittura. Non ne ho più voglia.

Ma ci sono, per fortuna, anche i libri che ti fanno venire una voglia matta di cantarne le lodi.

Primo fra tutti Presenze animali di James Hillman: un saggio che sprizza scintille, un forziere di intuizioni geniali e di empatia emotiva. Chi ama gli animali (Traddles, ci sei?) non se lo perda.

E l’ennesimo Stefansson. Lo so che si è già parlato e riparlato di lui, ma che ci posso fare se è uno scrittore che mi incanta, mi suggestiona, mi strazia e mi fa sorridere come mai mi è successo? Ha la forza narrativa tragica, e comica a volte, del più grande Dickens e la condensata potenza e la liricità di Leopardi: meraviglioso. La tristezza degli angeli andrebbe letto anche solo per non perdersi la grazia candida e dolcissima con cui ‘il ragazzo’ scopre la sensualità, e per scoprire con quale intensità un uomo che si mette a fare un pupazzo di neve possa esprimere la muta tragicità dei sentimenti che ci legano alla vita e ci accompagnano nel momento in cui decidiamo di arrenderci alla morte.

E poi la Munro, quella di Troppa felicità: appena cominciata, ma mi ha fulminato con il primo racconto. Spaventosa la storia di Doree, di una drammaticità quasi senza pari, viene narrata con una asciuttezza scarna che la fa assurgere a metafora del vivere umano e del dolore che non si può ingoiare, che ti rimane in bocca come un grumo di piombo e sangue indigesto e venefico. E che solo il sangue può sciogliere.

In mezzo a tutto questo ci sta Kent Haruf, Benedizione. Haruf scrive bene, almeno: bellissima la scena di tre donne e una bambina che la torrida estate di un’infuocata prateria americana spinge a bagnarsi nude in una cisterna scoprendo così l’intimità attraverso quella comunione dei corpi, tanto diversi, uno color del miele e prospero tanto quanto l’altro è piatto e acerbo, o ancora segnato dalle rughe e dalla pelle vizza, ma tutti espressione di una medesima femminilità e umanità.

Ma a conti fatti sono rimasta delusa. Non manca una certa serena dolcezza, è vero, nella pacata accettazione con cui viene rappresentato il morire, quel momento che arriva per tutti, accanto al letto di un padre morente prima, oppure distesi su quello stesso letto noi stessi quando sarà il nostro turno di affrontare la malattia, la decrepitezza, la fine.

Però, a me è parso, manca la nuda, scabra manata che sempre, in fondo, accompagna la morte. E senza, è come un libro a metà.

la signora nilsson

Alessandro Baricco “Mr. Gwyn”

gwynUno scrittore scrive storie. Anzi, esegue ritratti.  E non di personaggi, ma di persone.
‘Mr Gwyn’ è un labirinto, un edificio di specchi, un percorso cifrato. Un libro accuratamente costruito, meticolosamente esatto, ossessivamente pensato. Ma anche semplice, nitido come la vita: vita reale, e perduta.
Baricco qui si finge Julian Barnes e per un po’ quasi incanta, poi stupisce, infine lascia dietro di sé solo un piccolo lampo dietro le palpebre.
A suo modo affascinante ed enigmatico.
Ma anche deludente, come quando si scopre di avere contemplato a bocca aperta un falso. D’autore.

La signora Nilsson

Alessandro Baricco “Smith & Wesson”

bariccoRecensione breve, quanto breve è il libro… ​Ogni tanto Baricco scrive di “librini”. L’aveva fatto con “Next”, poi con “Senza sangue” e da ultimo con “Tre volte all’alba”, e nell’elenco ci potrebbe stare anche “Novecento”. Ma nessuno di quei “librini” (a parte -probabilmente- “Senza sangue”) delude. Tutti hanno un loro “perché”, tutti hanno la loro punta di genialità, e qualcuno anche di più (come “Tre volte all’alba”). “Smith e Wesson” non è da meno. Anche in quest’ultimo “librino”, come nei precedenti, si ritrovano tutti i “tòpoi” baricchiani. Come in tutti i suoi libri, mentre leggi ​ti scorrono davanti le immagini del film ​che se ne potrebbe ricavare; anche qui la prima parte prepara al monologo finale (​qui affidato ad un “non protagonista”​), in cui tutto si scioglie​ (della storia non dirò nulla, perché -come accade per i films…- toglierebbe buona parte del piacere della lettura). Ma soprattutto, come in tutti i suoi libri, ​c’è una scrittura che si fa apprezzare per piacevolezza ed​ eleganza, e –soprattutto- quella ricerca di un linguaggio “esatto”, di un’​”esattezza” n​ella parola, nella descrizione di gesti, sensazioni e sentimenti che è il vero filo conduttore di tutta l’opera di Baricco, fin dalla memorabile partita di bocce con il giocatore che “aspetta che tutto quello finisca e il campo ridiventi un foglio bianco su cui disegnare l’esattezza”, lui che ha amato la moglie “con la stessa pazienza e la stessa esattezza, per tutta la vita” (“Bocce”, Barnum 2).

​La prima parte ti fa anche ​sorridere  per la “bizzarria” della vicenda e le battute, e non puoi fare a meno di domandarti dove andrà a parare e che senso ha tutto questo: alla fine, comunque,​ non resti deluso,​ e l’epilogo ​illumina e convince . Io sono -lo ammetto- “bariccofilo” convinto da sempre, ma credo che il ​suo modo di scrivere (davvero ammirevole), e il ​risultato finale rendano del tutto futile l’accusa di “furbizia” che molti gli rivolgono.

​myga53​

Alessandro Baricco “Emmaus”

emmeuasBaricco mi è simpatico. Trovo sia un grande comunicatore. Sa come parlare a un pubblico attento,fa un sapiente uso delle pause, usa con simpatia e disinvoltura l’ironia. Sa cogliere l’essenza e la bellezza dello scritto e le sa condividere. E’ profondo e sa incantare (consiglio vivamente a tutti di vedersi su you tube la puntata di Totem, dove Baricco legge brani del Cyrano)

Come scrittore, secondo me, ha scrtitto alcune belle cose (primi fra tutti “Oceano mare”e”Il pianista sull’oceano”, che consiglio caldamente…..) , ma purtroppo non sempre ci è riuscito, è il caso di “Emmaus”.

P. Cameron nella postfazione di Stoner sostiene che “ si possono scrivere dei pessimi romanzi sudelle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria”. Per Emmaus, di Baricco, buona la prima!

Nella sua storia c’è di tutto: un numero inquietante di suicidi, un assassinio, diciottenni da oratorioche girano armati, citazioni evangeliche, una specie di ninfomane (perdonatemi veramente il termine, ma non me ne viene assolutamente nessuno di migliore) che organizza orge a spron battuto e, nonostante tutto questo, all’attonito lettore non viene mai regalata la benché minima emozione, preso com’è a cercare di capire che cosa sta succedendo e oppresso da una prosa esageratamente ricercata e spesso del tutto incomprensibile.

La lingua italiana è spesso forzata e un po’ distorta: molti grandi ci hanno provato infrangendo regole e consuetudini ed ottenendo ottimi risultati, ma al contrario di Baricco in questo caso, avevano qualcosa da dire. Non come il nostro che ci narra una storia adolescenziale, poco credibile e sconclusionata.

Se qualcuno ha apprezzato il motivo per cui è stato scritto, allora me lo spieghi, perché io non l’ho capito………

Mr. Maturin

 

Alessandro Baricco

baricntitledBaricco, nonostante tutto, a me piace (vedo già molto asinisti storcere il naso).
Indubbiamente è uno che sa scrivere, lo sa, e se ne è pure bassamente approfittato, tanto che dopo “Seta”, per il quale avrebbe meritato di essere lapidato a colpi di lattuga, gli avevo decretato il mio modestissimo bando, per quanto “Oceano mare”, “Novecento” e, meno, “Castelli di rabbia” li avessi letti ben volentieri (ma quanto si fa leggere questo Baricco!)
Eppure in seguito, venendo meno all’impegno assunto, ho letto due suoi libretti e ne sono rimasto veramente sorpreso.
Nel primo, “Emmaus”, B. abbandona ogni autocompiacimento e piacionismo per mettere il suo indubbio talento e la sua notevole tecnica di scrittura al servizio di una storia sghemba e abbastanza paurosa. Un romanzo rischioso, senza nessuna preoccupazione di cassetta, e fondamentalmente riuscito.
Il secondo libro si intitola “Tre volte all’alba”; sono tre racconti secondo me bellissimi, soprattutto il terzo. Ve lo consiglio proprio: soddisfatti o rimborsati.
Poronga